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Percorso

''Sentite buona gente'' di Domenico Ferraro

Alberto Negrin

Un testo ponderoso, puntuale, veramente interessante, racconta una pagina importante della formazione italiana degli anni sessanta. di Elisabetta Randaccio

La rassegna La musica nel cinema d'ambiente sardo, curata dal critico cinematografico Gianni Olla per la Cineteca Sarda, ha preso avvio dal 2 marzo e proseguirà fino al 18 maggio. Si tratta di una particolare scelta di proiezioni, che ha riservato agli spettatori molte sorprese, alcuni inediti e incontri di alto livello culturale.

In questo senso, l'appuntamento del 15 aprile è stato esemplare. Coordinato dal giornalista Giacomo Serreli, l'incontro ha avuto il suo fulcro nella presentazione del libro di Domenico Ferraro su Roberto Leydi e il Sentite buona gente (Edizioni Squilibri), con in sala l'autore e il regista Alberto Negrin, che diresse, allora giovane assistente di Giorgio Strehler, lo spettacolo al Piccolo Teatro di Milano.

Un momento dell'incontroIl testo ponderoso, puntuale, veramente interessante di Ferraro (“è stato un lavoro lungo e appassionante”) ci racconta una pagina importante della formazione italiana degli anni sessanta, un momento storico di partecipazione sociale e culturale irripetibile, quando una performance da palcoscenico diventava un riferimento essenziale per una riflessione nazionale. Ma cosa è stato Sentite buona gente? Questa opera teatrale (1967) nasce negli anni in cui ci fu un forte interesse a riscoprire la cultura e le tradizioni locali, spesso rimosse dalla “grande mutazione” capitalistica, rigettante il passato, soprattutto quello riguardante le classi contadine e operaie, come inutile residuo di arretratezza. Ma non solo. L'etnomusicologo Roberto Leydi, che collaborava da tempo con il Piccolo Teatro di Milano, insieme al collega Diego Carpitella, voleva creare uno spettacolo, per certi versi, in opposizione a quello di Dario Fo, rappresentato nel 1966, sullo stesso tema: Ci ragiono e canto.

Negrin e MarottoLeydi discuteva l'ambiguità di servirsi, come Fo aveva fatto, di professionisti per cantare le canzoni popolari frutto di un mondo capace di esprimere i propri disagi e le proprie soddisfazioni con melodie non destinate al mercato, e, dunque, il suo ambizioso progetto fu quello di portare sul palcoscenico di Milano la “gente comune”, la quale si dedicava a un folclore spontaneo e non monopolizzato o manipolato. Così, per realizzare Sentite buona gente Leydi, Carpitella e Negrin girarono l'Italia alla ricerca di fonti e protagonisti. Alberto Negrin fece rotta in Sardegna, ad Orgosolo, in una realtà praticamente sconosciuta, appena descritta a tinte forti dai media dell'epoca, i quali mettevano in evidenza il fattore “criminologico” dell'isola. Nel paese sardo, Negrin incontra Peppino Marotto e i dialoghi avuti con lui, cambiarono la prospettiva dello spettacolo. “Peppino mi ha illuminato. Raccontando la sua storia, mi sciolse un nodo in cui la musica e il privato erano collegate. Quando nella rappresentazione parla di sé, è come se parlasse di tutti i suoi concittadini. La tensione, mentre si <esibiva> era palpabile.

I tenores di OrgosoloSenza di lui, lo spettacolo sarebbe stato tutta un'altra cosa.” Infatti, in Sentite buona gente lo spazio dato alla Sardegna fu notevole. Allo stesso modo della Puglia, la nostra isola ebbe, diversamente dalle esibizioni delle altre regioni, due gruppi che ne rappresentavano le tradizioni canore: Felicino Pili alle launeddas insieme al gruppo di Maracalagonis e i tenores e i ballerini di Orgosolo con Peppino Marotto. Questa straordinaria performance fu ripresa anche dalle camere della RAI per la regia di Lino Procacci e il DVD inserito nel libro (insieme a un CD) di Domenico Ferraro ci mostra questo girato. Infatti, sarebbe dovuto diventare un programma televisivo con Roberto Leydi  che appare, ad apertura di filmato, insieme a una presentatrice, a spiegare il senso dell'opera; segue una parte di Sentite buona gente, dove sono presenti i gruppi sardi e, poi, una seconda con gli altri musicisti. Lo spettacolo televisivo, spesso sovrappone la voce della presentatrice ai canti in un tipico modo “pedagogico” del tempo per spiegare strumenti e provenienza dei cantanti.

I KalagonisIl filmato ha valore di testimonianza preziosa e inedita, dato che la RAI decise di non mandare in onda – non si conoscono i motivi – il programma. L'esperienza di Sentite buona gente che, come ci hanno raccontato Ferraro e Negrin, fu irripetibile (“un'occasione persa, non c'era l'adeguata sinergia tra i due etnomusicologi”), anche perché Leydi e Carpitella non riuscirono a trovare un vero e proprio proposito comune, però ha, per gli spettatori sardi dei nostri giorni, il pregio di mostrare, come si è detto, la prima esibizione in pubblico di Peppino Marotto, il quale diventerà un punto di riferimento per la cultura isolana fino al suo omicidio, ancor oggi impunito. Marotto narra la sua storia personale, fatta di sacrifici, ingiustizie, di una volontà incrollabile in cui, in quel momento, buona parte del popolo sardo si poteva identificare. Le parole di Marotto furono discusse con Negrin, elaborate con lui.

Prove di tenoresRicorda il regista: “Volevo capire la realtà di Orgosolo. Il pubblico non la conosceva. Ho lottato per avere la sua presenza nello spettacolo. Roberto Leydi non era convinto, ma ebbi l'appoggio di Paolo Grassi, allora direttore del Piccolo Teatro.” In seguito, Alberto Negrin, ritorna ad Orgosolo con il fotografo di scena Luigi Ciminaghi: “Sono arrivato con una piccola macchina da presa; era la prima volta che la usavo. Ero soprattutto stato un fotografo, negli anni precedenti. Una notte ci svegliarono, dicendo come il paese fosse circondato dall'esercito alla ricerca del latitante Mesina. Mi accorsi che era vero: 1500 baschi blu accerchiavano e perquisivano le case! Non si poteva fotografare, allora salii sul tetto dell'edificio dove ero ospite e, passando di terrazza in terrazza, realizzai un servizio fotografico all'insaputa dei soldati.

Suonatori di launeddasUn situazione veramente impressionante.” In quell'anno, Alberto Negrin, che sarebbe, negli anni seguenti, diventato un grande e innovatore regista televisivo (da La rosa bianca, 1971, a Perlasca, 2001, da Il picciotto, 1973, da Bambole, 1980, a Gino Bartali, 2006), realizzò il suo primo documentario proprio su Peppino Marotto (Peppino Marotto, poeta orgolese, 1967) e, nell'incontro alla Cineteca, è stato proiettato. Sono venti minuti intensi in cui lo scrittore sardo ritorna con un amico, reduce dalla faticosa transumanza, agli ovili, ai campi, ai monti intorno a Orgosolo, a ragionare della vita stremante dei pastori, del senso della natura, della morte, dei cambiamenti sociali, mentre attorno il paesaggio (scorci, edifici tradizionali, animali, festa della tosatura) sembra fissato in attimi senza tempo.

20 aprile 2016

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