Percorso

Ottant’anni di Ken il rosso

Ken Loach

Loach dal ritiro annunciato alla Palma d’oro a Cannes. Ritratto del regista per cui “un altro mondo è possibile e necessario”. di Elisabetta Randaccio

Due anni fa, presentando il suo bel film "Jimmy's hall", ancora una volta ambientato in Irlanda, il regista Ken Loach annunciò di voler abbandonare la carriera cinematografica e che quel piccolo gioiello per immagini, appena uscito nelle sale, sarebbe stata la sua ultima volta dietro la macchina da presa, causa senilità incombente.

Forse, il regista britannico ha capito che noi spettatori, nonostante tutto, convinti del cinema come divertimento, ma pure come potente arma culturale, avevamo ancora bisogno di lui e delle sue opere, da vedere e da discutere.

''i am Daniel Blake''Eccolo, dunque, al Festival di Cannes, lo scorso maggio, ricevere felice la Palma d'oro per il suo "I am Daniel Blake", storia di precariato, di indifferenza sociale, ma pure di solidarietà. Ken Loach, così, può ben dire di aver festeggiato con gioia il suo ottantesimo compleanno lo scorso 17 giugno e il suo discorso, alla consegna del riconoscimento al festival francese, ci riassume il senso del suo mestiere, iniziato nella televisione pubblica inglese (il secondo canale della "BBC") nei primi anni sessanta: "Il cinema rappresenta la voce del popolo contro i potenti, ma questo premio non deve farci dimenticare le storie dei personaggi che hanno ispirato il film. Viviamo in un mondo pericoloso dove il neoliberismo rischia di ridurre in miseria migliaia di persone. Ma un altro mondo è possibile e necessario."
Loach, sin dai suoi esordi sul piccolo schermo, ha cercato di creare opere, nello stesso tempo, semplici (apparentemente) nella forma e con un contenuto legato alla realtà del suo tempo o a episodi storici da non dimenticare, magari contraddittori e su cui aprire nuove riflessioni.

''Poor cow''La sua adesione al "free cinema", uno dei momenti più interessanti della storia della settima arte inglese, che segnò un forte cambiamento culturale, di costume in Gran Bretagna, contagiando anche il teatro e la musica in altrettante nuove declinazioni sperimentali, indirizza con chiarezza il suo metodo e i suoi interessi. I primi film per le sale sono molto belli. Il filo conduttore è la sofferenza dei più deboli, non senza una qualche possibilità di riscatto, seppure contenuto in un pessimismo ben temperato. La moglie umiliata di "Poor Cow" (1967), il bambino di "Kes" (1969), la ragazza devastata dalle terapie per la malattie mentale di "Family life" sono personaggi dolenti, ma non del tutto sconfitti; le loro storie arrivano empaticamente allo spettatore, anche attraverso sceneggiature ben elaborate.

"Family life" viene distribuito pure in Italia con un certo successo; sicuramente diviene un film di culto in un momento in cui si discuteva ampiamente di chiusura dei manicomi, di psichiatria democratica, delle teorie sull'antipsichiatria di Ronald Laing, che il lungometraggio di Loach prende in considerazione nello script. Così, il regista britannico ebbe da quel momento, nel nostro paese, una nicchia importante di estimatori.

''Family Life''"Family life" è del 1971, ma dobbiamo attendere più di un decennio intero perché Loach abbia un'affermazione diffusa, il successo di critica e di pubblico non solo in Europa. Gli anni ottanta furono, infatti, un periodo duro, dominato da una insensata censura nei suoi confronti, mentre i novanta, iniziati con un film sulla questione irlandese dai vaghi accenni di thriller ("L'agenda nascosta", 1990) sono ricchi di soddisfazioni, di premi nei festival più importanti d'Europa. Loach dirige una serie di lungometraggi, su cui è difficile essere severi; in alcuni scopre l'ironia come arma affilata per denunciare il potere o le sofferenze degli umili, di cui analizza, spesso, le tante cadute nelle trappole della società del profitto, ma anche, a volte, la incapacità di reazione, il non sapere trovare la vera ragione dei propri mali o errori.

''Riff Raff''In questo modo nascono "Riff raff" (1991), "Piovono pietre" (1993), "Ladybird Ladybird" (1994). "Terra e libertà" (1995) non é solo uno dei film maggiormente rappresentativi degli anni novanta, ma mette in crisi i detrattori di Loach, i quali lo volevano allineato rigidamente al socialismo radicale. L'opera, peraltro molto bella anche formalmente, è ambientata durante la guerra civile di Spagna e, per la prima volta sul grande schermo, troviamo il racconto di un conflitto drammaticamente segnato anche tra gli antifascisti che sostenevano la repubblica. Loach ci mostra l'assurda repressione del gruppo degli anarchici da parte degli stalinisti, un errore ideologico e umano, il quale conterà nella vittoria dei franchisti. Il regista e il suo sceneggiatore Jim Allen utilizzano pure la straziante storia d'amore tra David e Bianca per evidenziare l'impietosità e la dissennatezza sempre insite nelle guerre di qualunque tipo. "Terra e libertà" creerà un dibattito acceso e servirà a ricomporre alcuni tasselli della Storia.

Subito dopo questo capolavoro verranno "La canzone di Carla" (1996), ambientato tra la Gran Bretagna e il Nicaragua per comprendere un altro conflitto dei nostri giorni, e "My name is Joe" (1998), il ritorno a una vicenda individuale sul tentativo di riscatto di un alcolizzato, interpretato superbamente da Peter Mullan.

''In questo mondo libero''Il 2000 ci porta un film girato, per la prima volta da Loach, negli Stati Uniti, "Bread and roses", ma i protagonisti sono immigrati messicani, impiegati e sfruttati da un'impresa di pulizie. La pellicola, che pure tratta un argomento complesso, è caratterizzata da una decisa leggerezza e ottimismo, mentre alla sceneggiatura troviamo ancora Paul Laverty, compagno di lavoro e di scrittura di Loach fino ai nostri giorni. Nei film seguenti, Laverty e Loach sceneggeranno storie drammatiche, ma anche ricche di ironia e pure d'amore, come capiterà per "Un bacio appassionato" (2004). Altro elemento del nuovo millennio è l'attenzione ai giovani, a una generazione con scelte limitate dalla crisi economica, dal crollo delle ideologie e dalle speranze in un mondo migliore. Se "Sweet sixteen" (2002) ci mostra l'ambiente della tossicodipendenza in una città sfregiata dalla mancanza di lavoro e di opportunità, se "In questo mondo libero" (2007) la giovane protagonista passa facilmente, all'interno dell'organizzazione del mercato del precariato, da vittima a carnefice, "La parte degli angeli" (2012) ci regala un sogno ottimista.

''Jimmy's Hall''I ragazzi protagonisti risolvono i loro pesanti problemi con una "truffa" creativa, attraverso l'arte della degustazione di whiskey nella terra per eccellenza di questo prodotto, la Scozia. Allo stesso modo, il tema dell'Irlanda, spina ancora viva nelle politiche della Gran Bretagna, é trattato drammaticamente in "Il vento che accarezza l'erba" (2006), dove vengono ricordate le rappresaglie sanguinose da parte dell'esercito inglese negli anni venti, mentre "Jimmy's hall" (2014) ha un andamento melanconico, a volte anche sorridente nell'evocare la lotte per tenere aperto un locale da ballo, così importante per la popolazione di una piccola città irlandese. Doveva essere il saluto al cinema di Loach, non lo é stato. Il film premiato a Cannes, si é detto, é improntato sul problema dei problemi del nostro tempo: il precariato lavorativo; comunque il regista è riuscito a creare, come ha detto un critico, "la poesia degli ultimi. "Loach" il rosso" é tornato! Auguri splendido ottantenne.

22 giugno 2016

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