Percorso

Letterina di Natale

Buon Natale

Ai lettori di Cinemecum tanti auguri di buone feste e un piccolo regalo: un film Natalizio in forma di racconto. L’ambientazione è la Cagliari, degli anni Sessanta. di Bepi Vigna

FILM DI NATALE

Portici della via Roma. Esterno, sera.
La notizia era finita sulla prima pagina del giornale, anche se forse non l’avrebbe meritato. Un ragazzino era fuggito di casa per andare da Babbo Natale. Almeno, così aveva detto il piccolo Danilo a un compagno di scuola. Era salito sulla Columbus a Eltili, alle sedici e trenta. Il bigliettaio non ci aveva badato, perché aveva pensato che fosse in compagnia di una donna di Ruinas, che poi era scesa a Macomer.  Nessuno, però, aveva fatto caso a quando era sceso Danilo. Forse era arrivato addirittura fino a Cagliari.

Il cronista aveva cercato di rendere quella notizia un articoletto sul Natale, dal tono vagamente moralistico.
“Nel paese di Danilo”, aveva scritto, “i regali li portava solitamente Gesù Bambino. Danilo aveva sentito parlare di Babbo Natale solo alla televisione, davanti a cui passava interi pomeriggi. Forse aveva finito per identificare Babbo Natale con il suo di babbo, quello che non aveva mai conosciuto perché era finito in prigione prima che lui nascesse, quel babbo contro cui sua madre imprecava e mandava maledizioni, ogni volta che le cose andavano male in casa”.
L’uomo col costume rosso e la barba di cotone lesse l’articolo fin dove glielo consentiva la piega del giornale, inserito nell’espositore dell’edicola. Quindi si voltò e agitò un paio di volte la campanella dorata che teneva in mano, facendo voltare la gente che passava in quel momento sotto i portici.
- Mamma, guarda, c’è Babbo Natale! – gridò una bambina. L’uomo le rivolse un gesto di saluto.
- Vai e dagli la letterina – disse la giovane donna. La bambina si avvicinò all’uomo e gli porse timidamente una piccola busta celeste. Babbo Natale la prese, come se fosse qualcosa di prezioso e la infilò in una tasca della sua giubba, quindi salutò la piccola con un buffetto sulla guancia.
- Ehi, scusi… Può fare una foto con mio figlio? – chiese qualcuno alle sue spalle. Babbo Natale si voltò, disponibile, e tese le braccia verso un ragazzino dall’aria spaurita che non voleva mollare la mano del padre. – Avanti, vai… non aver paura… – lo incitò questi. Alla fine il piccolo acconsentì a farsi prendere in braccio e a farsi scattare la fotografia.
A Babbo Natale non importava farsi fotografare. Sapeva che tanto non avrebbero mai potuto riconoscerlo così truccato. Del suo vero volto si scorgevano solo gli occhi ed era stato molto scrupoloso nel coprirsi le orecchie con il berretto. Pochi lo sanno, ma le orecchie sono un segno distintivo formidabile, come le impronte digitali.
L’uomo si trovava in città da tre giorni e aveva ormai raccolto tutte le informazioni che voleva. La più importante era che, nei giorni prefestivi, la procedura della compagnia di vigilanza che operava nel grande magazzino era sempre la stessa. Non era cambiato nulla da quando aveva fatto il colpo nella filiale di Torino, due anni prima. Sapeva con certezza che alle ventuno le casse venivano chiuse e gli ultimi clienti erano invitati a uscire. In ogni piano le capo reparto ritiravano gli incassi e li portavano nell’ufficio del contabile, che attendeva in compagnia di due guardie giurate. L’operazione non richiedeva più di una decina di minuti, poi tutto il personale andava a cambiarsi nello spogliatoio, mentre una delle guardie faceva il giro degli ingressi, sprangando le porte una volta che gli ultimi clienti avevano lasciato l’edificio. L’altro agente, però, restava nell’ufficio insieme al contabile, il quale riponeva monete e banconote dentro due sacchi di colore diverso, li chiudeva con dei legacci alla cui estremità erano appesi dei cartellini, vi apponeva la firma e la data e metteva il tutto in cassaforte fino all’indomani.
Il momento propizio per agire era quando i due rimanevano soli nell’ufficio al terzo piano.
L’uomo guardò l’orologio: erano le venti e trenta. Era quasi ora di entrare in azione. Si avviò verso l’ingresso del grande magazzino passando sotto i portici scintillanti di luci. Giunto sulla porta si fermò per lasciar passare una signora che usciva carica di pacchi, quindi fece il suo ingresso nel reparto profumeria, salutato dai sorrisi delle commesse.

Stazione delle Ferrovie. Interno/Esterno, sera.
Il treno era giunto alla stazione con un quarto d’ora di ritardo. Rosa fu l’ultima a lasciare lo scompartimento, non voleva che quelli che avevano viaggiato con lei vedessero da che parte si sarebbe diretta.
La stazione ferroviaria non era cambiata molto dall’ultima volta che c’era stata, l’avevano un po’ ripulita, ma ristagnava sempre quell’odore di smog, che rendeva il luogo inconfondibile.
Mentre si dirigeva verso l’uscita, vide la sua immagine riflessa nella vetrina del bar. Era ancora un bella ragazza, dopotutto. E quella minigonna, sotto il lungo cappotto, le stava proprio bene, anche se, con ogni probabilità, le avrebbe procurato un raffreddore. Guardandosi, non poté fare a meno di pensare che anche lei, in fondo, non era cambiata molto in quei tre anni, e che tutti i buoni propositi di quando era partita, sarebbero stati rinnegati quella stessa notte.
Ma che altro poteva fare? L’avvocato era stato chiaro: se non avesse versato almeno un terzo della somma dovuta, non gli avrebbe rinnovato le cambiali.  E così avrebbe perso il negozio da parrucchiera e con esso le speranze di una vita migliore.
- Sarò nel mio studio anche la mattina del venticinque - le aveva detto l’avvocato. - L’aspetterò fino a mezzogiorno, ma non un secondo di più!
Come odiava quell’uomo! Sembrava che ci provasse un gusto sadico a rovinare la gente. Il solo ricordo dei suoi modi melliflui le faceva rivoltare lo stomaco. Ancora si domandava come aveva potuto rivolgersi a lui per avere il prestito!
Si fermò a ragionare davanti al tabellone con gli orari delle partenze: il giorno seguente, per tornare, avrebbe anche potuto prendere il primo treno, quello delle cinque, in modo da essere a casa intorno alle nove e mezza. Guardò l’orologio: erano le venti e quaranta, aveva poco più di otto ore per procurarsi i suoi soldi.
Uscita dalla stazione, Rosa si incamminò verso la via che costeggiava il porto. Non c’erano altre ragazze che passeggiavano sul marciapiede, forse era ancora presto, oppure si erano spostate altrove. Aveva sentito dire che ora passseggiavano in viale Trieste. Ma più probabilmente non c’era nessuno perché era la vigilia di Natale. Era proprio questo l’aspetto che rendeva complicata la situazione! Quella sera la maggior parte della gente stava in famiglia e si riuniva davanti a tavole imbandite. Chi poteva aver voglia di andare a cercare una ragazza, per strada, la notte di Natale?

Grande Magazzino. Interno, sera.
La voce dall’altoparlante avvisò per la seconda volta che il grande magazzino stava per chiudere. Gli ultimi ritardatari si avviarono svelti alle casse rimaste aperte.
Babbo Natale salutò allegramente le commesse del reparto abbigliamento e si avviò verso le scale mobili, ma invece di scendere al piano di sotto, svoltò a sinistra, dove c’erano i camerini per le prove. Dopo essersi guardato rapidamente attorno, per accertarsi che nessuno badasse a lui, entrò dentro una delle cabine, socchiudendo la porta in modo da lasciare un piccolo spiraglio. Da quella posizione poteva tenere d’occhio sia le scale, sia la porta dell’ufficio del contabile.
Passarono quindici minuti, poi la prima caporeparto arrivò con l’incasso dei settori casalinghi, hobby e giardinaggio; poi fu la volta del reparto giocattoli, dell’abbigliamento per bambini, della biancheria intima e della profumeria. Infine: abbigliamento maschile, articoli sportivi e abbigliamento donna. Quella sera le operazioni di chiusura si erano trascinate un po’ più del solito, ma era sempre così alla vigilia di Natale: un sacco di gente aspettava l’ultimo momento per comprare i regali.
L’ultima delle caporeparto uscì dall’ufficio insieme a una delle guardie giurate. I due si salutarono e si scambiarono gli auguri, quindi la donna si diresse in fondo al corridoio, verso le scale di sicurezza, mentre la guardia prese la scala mobile per raggiungere il piano terra e iniziare a chiudere gli ingressi.
Babbo Natale guardò ancora l’orologio: erano le 21 e trentacinque. Doveva agire nel più breve tempo possibile. Estrasse di tasca la boccetta del cloroformio e ne versò parte del contenuto su un fazzoletto bianco. Poi mise il tutto nella tasca foderata dei pantaloni.
Uscito dal camerino si avviò, svelto, verso la stanza in fondo. La porta era rimasta aperta, quindi non avrebbe dovuto bussare. Infilò la mano destra sotto la giubba ed estrasse la pistola un attimo prima di entrare.
- Buon Natale - disse puntando l’arma contro il ragazzo in divisa. Questi sbiancò senza aver la forza di pronunciare una parola. Il contabile, che era chino sulla scrivania, non comprese subito ciò che stava accadendo.
- Qui non si può stare - fece sollevando il capo dai due sacchi pieni di soldi. Ma le sue parole gli morirono in bocca con un’espressione di stupito spavento.
Babbo Natale sorrise, poi, tenendo sempre l’arma puntata contro la guardia, si rivolse al contabile: - Il sacco con le banconote... lancialo qui. Svelto!
L’uomo, dopo un attimo di smarrimento, prese il sacco e lo gettò ai piedi del rapinatore. Questi non lo raccolse.
- Giratevi tutti e due contro il muro! - disse. - E tenete le mani sopra la nuca!
I due eseguirono. Babbo Natale si passò la pistola sulla mano sinistra e con l’altra prese dalla tasca il fazzoletto inzuppato di cloroformio. Si avvicinò alla guardia e, con un unico gesto, gli premette la canna della pistola sulla schiena e il fazzoletto sul volto, tenendolo fino a quando non sentì che le gambe del ragazzo cedevano.
Si avvicinò quindi al contabile. Si accorse che stava tremando e gli venne da sorridere. - Tranquillo, non ti succede niente - disse.
Quando gli premette in faccia il tampone col narcotico, l’uomo ebbe uno scatto di panico, ma dopo qualche secondo cadde addormentato anche lui. Mentre raccoglieva il sacco e lo infilava sotto la giubba, al posto dell’imbottitura di vecchi giornali, Babbo Natale vide un rivolo di liquido attorno alle scarpe del contabile e capì che l’uomo si era orinato addosso dalla paura. Succedeva, a volte.
Il sacco dei soldi lo rendeva un po’ più grasso, ma era sicuro che nessuno ci avrebbe badato. Mise in tasca la pistola e uscì nel corridoio. Non c’era nessuno, ma dal piano di sotto venivano delle voci di donna. Doveva esserci lo spogliatoio delle commesse, forse si stavano attardando per scambiarsi gli auguri e questo gli avrebbe dato un po’ di vantaggio in più.
Gettò i vecchi giornali nel primo cestino e si avviò verso le uscite di sicurezza. Scese le scale fino al pian terreno e raggiunse la porta di servizio che dava sul cortile del garage. Al cancello d’ingresso c’era un uomo con il camice della ditta che gli rivolse un cenno di saluto, pensando, forse, che fosse un collega di lavoro.

Portici di via Roma. Esterno, notte.
Una volta fuori, Babbo Natale accelerò il passo per ritornare verso i portici. Vide che la guardia giurata stava ancora chiudendo uno degli ingressi e calcolò di avere almeno un altro minuto a disposizione prima che si accorgesse della rapina.
Rispetto a un’ora prima adesso c’era molta meno gente nella via Roma. Tutti si affrettavano a rientrare per il cenone. Guardò l’orologio: erano solo le ventuno e quarantacinque. In pochi minuti aveva messo a segno il colpo! Nonostante non fosse più giovanissimo rimaneva ancora il migliore!
Fra poco avrebbe raggiunto la macchina parcheggiata nel piazzale del porto, si sarebbe tolto il vestito, la barba e il cappuccio e sarebbe filato via con il malloppo.
Il semaforo divenne verde e Babbo Natale si accodò alle persone che attraversavano Largo Carlo Felice. Vicino al palazzo del Municipio c’erano alcuni suonatori di launeddas, vestiti esattamente come lui.
- Bene - pensò - aiuteranno a confondere le acque.
L’esperienza gli aveva insegnato che, perché tutto andasse liscio, occorreva sempre un po’ di fortuna e quella sera sembrava proprio che la dea bendata fosse dalla sua parte.

Via Sassari e Portici di via Roma. Esterno, notte.
Danilo dimostrava più dei suoi dodici anni, ma ragionava come un bambino di cinque. Era alto e grosso e aveva un’aria perennemente corrucciata. Forse era per questo non aveva amici e nessuno si mostrava mai gentile con lui.
Era arrivato in città la sera prima, ma doveva essere sceso alla fermata sbagliata, perché non gli era sembrato lo stesso posto di quando era venuto con sua mamma, per la visita in ospedale.
Aveva dormito dentro un portone, poi, dalla mattina, si era messo a girare per le strade sperando di incontrare Babbo Natale, quello vero, non i ragazzi mascherati che suonavano. Ancora non l’aveva visto. Adesso era stanco e preoccupato, perché era di nuovo notte e temeva che sua madre lo avrebbe sgridato per essersene andato via senza dire niente. Inoltre, aveva terminato il panino e la mela che si era portato da casa e aveva fame.
Mentre camminava per quella strada sconosciuta, gli venne da piangere e delle grosse lacrime gli rigarono il viso.
Era colpa di Babbo Natale se si trovava in quella situazione! Non era giusto che portasse doni a tutti e a lui mai niente. Non era giusto e voleva dirglielo!
Proprio mentre pensava queste cose, svoltò l’angolo e lo vide. Babbo Natale: camminava veloce verso di lui. Forse stava andando già a portare i doni ai bambini. Chissà come faceva ad entrare dai camini, grasso com’era?

Via Roma, portici davanti al cinema Eden e parcheggio del porto. Esterno, notte.
Dapprima l’uomo pensò che fosse uno degli zingarelli che si fermavano solitamente ai semafori: si era aggrappato alla sua giacca e piagnucolava qualcosa che non capiva.
- Lasciami stare, vai via! Non ho niente da darti! - gli disse. Ma il ragazzino insisteva e non sembrava intenzionato a mollare la presa.
- Perché non mi hai portato mai i regali che ti ho chiesto? – diceva. - Ti ho sempre scritto le letterine! Perché agli altri sì e a me no?
Babbo Natale si voltò a guardare verso il grande magazzino. Probabilmente in quel momento stava scattando l’allarme. Doveva affrettarsi a raggiungere la macchina.
Afferrò il ragazzo con entrambe le mani e lo mandò a sbattere contro il muro.
- Togliti di torno, piccolo deficiente!
Danilo sentì un forte dolore alla schiena e iniziò a piangere forte.
- Maledizione! - fece Babbo Natale a denti stretti. - Non gridare, cretino! Non gridare!
Poi, gli voltò le spalle e si allontanò velocemente.
- Non è giusto - pensò Danilo. - Non è giusto che vada solo dagli altri e non da me. Anche questo è un babbo cattivo! Come quell’altro che ha fatto del male alla mamma!
Il piccolo si alzò in piedi ed estrasse il coltello a serramanico che si era portato da casa, per tagliare la mela. Se Babbo Natale era cattivo meritava di essere punito!
L’uomo sentì i passi del ragazzo alle sue spalle e si voltò quando ormai Danilo era a pochi passi da lui. Non vide che cosa teneva in mano, sentì solo quella fitta lancinante al fegato e sentì mancare il respiro.
Per non cadere si appoggiò contro il portone del cinema e vide il ragazzino con in mano il coltello sporco di sangue, che ansimava e piangeva, guardandolo con uno sguardo carico d’odio. Cercò di allungare una mano verso di lui, ma Danilo scappò via.
Babbo Natale si portò la mano sul fianco, dove sentiva quel dolore terribile. Non c’era sangue, forse l’imbottitura del vestito aveva impedito che uscisse.
Provò a rimettersi in piedi. Doveva assolutamente raggiungere la sua macchina e andare da un medico. Forse non era grave. Ora la sorpresa e il dolore stavano cedendo il posto alla rabbia.
- Proprio quando sembrava che stesse filando tutto liscio! - pensò. - Che diavolo gli era preso a quel piccolo bastardo?
Provò a muovere qualche passo. Ce la faceva, ma il dolore era terribile. Cercò di attraversare la strada, anche se era lontano dalle strisce pedonali, rischiando di essere investito dalle macchine.
- Ce la faccio, porca miseria! Ce la devo fare! - si disse.
Raggiunse il muro che delimitava il porto più in fretta di quanto avesse sperato. C’erano più di duecento metri prima di raggiungere la sua auto, l’aveva lasciata vicino a una Fiat Giardinetta, ma non la vedeva. Cercò di incamminarsi, ma le gambe, improvvisamente erano diventate troppo pesanti. Aveva caldo, adesso, e non capiva perché.
- Cristo Santo! Che diavolo succede? - si domandò.
Provò ad aprire i primi bottoni della giubba e il sacco con i soldi gli cadde sul marciapiede. Tentò di chinarsi per raccoglierlo, ma una fitta atroce glielo impedì.
- No, maledizione! Non può andare a finire in questo modo!
Si premette una mano sul fegato e si rese conto che la giacca ora si era inzuppata di sangue.
Sentì in lontananza le sirena della polizia e capì che si erano accorti della rapina. Doveva raggiungere la macchina, al più presto. Al diavolo il colpo!
Mentre avanzava piegato in due per il dolore, da una macchina alcuni ragazzi gli gridarono delle frasi di scherno. Lo avevano preso per un ubriaco. Un Babbo Natale ubriaco!
Raggiunse finalmente la sua Millecento e si infilò dentro. Dove aveva messo le chiavi? Il dolore tremendo gli impediva di ragionare.  Si accorse che il buio stava aumentando e la testa aveva preso a girargli.
Si lasciò scivolare di lato sdraiandosi sui sedili anteriori. Che strano! Ora aveva l’impressione che il dolore si stesse attenuando, ma sentiva freddo, un gelo che sembrava salirgli dalle ossa. Non vedeva più niente, non sapeva neanche se i suoi occhi fossero aperti o chiusi. Aveva solo voglia di dormire.

Via Roma, lato mare. Esterno, notte.
Rosa guardò sconsolata la via Roma, che diventava sempre meno trafficata e decise di camminare lungo il muraglione del porto, tanto sembrava che la polizia avesse smesso di girare da quelle parti. Trascorrere la notte in Questura era l’ultima cosa che desiderava. Dal trambusto che aveva notato nella via doveva essere successo qualcosa di grosso.
Era lì da due ore e mezza, ma ancora non si era fermato nessuno. Sì, qualche idiota le aveva indirizzato i soliti apprezzamenti volgari e due ragazzi, su una Fiat Uno, si erano anche fermati a scherzare con lei. Ma aveva capito subito che volevano solo prenderla in giro.
Sembrava proprio che quella notte nessuno avesse voglia della sua compagnia.
Avvertiva l’angoscia che si agitava dentro di lei, pronta ad assalirla e prendere il sopravvento. Ma doveva tenerla a bada, ancora per un po’, almeno. Si sentiva proprio stupida! Che cosa aveva sperato di ottenere tornando sulla strada?  La notte di Natale, poi! Aveva ragione suo padre, quando gli gridava che era solo una povera stupida e che sarebbe finita male!
Una macchina comparve da dietro il terminal dei pullman. Rosa si girò e aprì il cappotto, in modo da scoprire le gambe. L’uomo al volante lampeggiò con i fari, ma non accennò neanche a rallentare.
Niente! Era inutile, non poteva sperare nulla da quella notte! Gli tornò la voglia di piangere e questa volta si concesse qualche lacrima. Aprì la borsetta e prese il fazzoletto per soffiarsi il naso. Fu in quel momento che vide quel sacco per terra, tra le auto parcheggiate. Doveva essere caduto a qualcuno, pensò.
Lo sollevò e notò che non era tanto leggero. Incuriosita aprì i lacci che ne fermavano l’apertura e guardò all’interno. Quello che vide la lasciò senza fiato. Soldi! Biglietti da mille lire, diecimila, cinquantamila e centomila. Centinaia di biglietti ammucchiati alla rinfusa!
- Santo cielo! - esclamò Rosa. - Ma allora Babbo Natale esiste!

FINE

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