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Percorso

Lo sguardo delle donne nel cinema tedesco

La rassegna dell'ACIT ospita la regista Lucia Chiarla. di Elisabetta Randaccio

Lucia ChiarlaDal primo ottobre, ha preso il via l'annuale rassegna dell'ACIT, che, ormai da tempo, è un importante riferimento per chi vuole conoscere meglio la cinematografia tedesca, sia quella storica, classica, sia quella contemporanea. La manifestazione, che proseguirà fino al 17 dicembre prossimo, alternando le proiezioni, a Cagliari, al Cinema "Odissea" e alla Cineteca Sarda, è intitolata "Frauenfilm. Lo sguardo delle donne nel cinema tedesco".

Attraverso 12 film, ci avvicineremo alle opere di registe, sceneggiatrici, attrici capaci di dare un contributo fondamentale alla odierna settima arte in Germania.

FrauenfilmL'interesse della rassegna non è solamente quello di percepire l'apporto femminile ad una cinematografia ancora solida e importante a livello internazionale, ma comprendere, attraverso lo sguardo delle donne, come si declina la realtà quotidiana in una nazione, di cui paradossalmente siamo maggiormente influenzati dagli stereotipi dei massmedia che da una adeguata analisi economico-sociale. Le opere scelte per "Frauenfilm", così, ci mostrano micro racconti intrecciati con la storia ufficiale, approfondendo un periodo - quello compreso dalla caduta del Muro di Berlino ai giorni nostri - di cui, spesso, abbiamo un ambiguo resoconto superficiale.

''Reise nach Jerusalem''Tra i film della rassegna, sono presenti prime visioni italiane e, spesso, si tratta di opere trascurate malamente dalla distribuzione italiana, pur essendo di straordinario interesse. Per fare qualche esempio, come perdere "Fukushima mon amour" firmato da Doris Dorrie, che, nel titolo ma pure nella scelta dello splendido bianco e nero, evoca il capolavoro di Alain Resnais "Hiroshima mon amour" e, come quello, ambientato in un Giappone ferito dal nucleare? Oppure "Prima dell'alba. Stefan Zweig in America", lungometraggio del 2016 di Maria Scharer, ricostruzione dell'ultimo periodo della vita del grande scrittore austriaco e del suo controverso suicidio.
Il primo film della rassegna è stato "Il gioco delle sedie-Reise nach Jerusalem" (2018) della regista italiana Lucia Chiarla, un gioiello che la distribuzione italiana finora si è fatta sfuggire.

''Reise nach Jerusalem''Ambientato in una Berlino contemporanea, senza nessun cedimento turistico, racconta di Alice, una donna che cerca di reinserirsi nel mondo del lavoro, dopo un periodo di disoccupazione. È ancora giovane, riceve un sussidio dallo stato, ma l'economia capitalista stritolante le assegna il ruolo di "manodopera d'attesa" e, intanto, la costringe alle regole del mantenimento del reddito con cui sopravvive. Infatti, deve adattarsi a corsi di formazione perfettamente inutili e umilianti, mentre la sua vita continua a complicarsi sia sul piano familiare sia sul lato sentimentale. Alice è una figura esemplare dell'economia e della società tedesca, non certo paese dei balocchi per chi cerca occupazione, ma nazione con gli stessi drammatici problemi di altri stati europei, compresa l'Italia. La Chiarla si serve del registro ironico, tragicomico riuscendo a coinvolgere lo spettatore, grazie anche a una splendida prova attoriale di tutto il cast, su cui svetta la fantastica Eva Lobau.

Abbiamo incontrato la regista Lucia Chiarla, che vive e lavora da anni in Germania, prima della proiezione del film, per approfondire con lei alcuni elementi di "Il gioco delle sedie".

Lucia ChiarlaSei arrivata in Germania come sceneggiatrice e interprete di un film "maledetto", "Bye bye Berlusconi". Come è successo che sei rimasta a Berlino e sei diventata regista?
"Intanto, prima del film, da te definito 'maledetto', mi ero diplomata alla scuola d'arte drammatica 'Paolo Grassi' a Milano e avevo lavorato con registi importanti, non solo italiani. Mi ha sempre, infatti, interessato confrontarmi con altre culture, con modi differenti di interpretazione artistica. Così, quando sono arrivata al Festival Internazionale del Cinema di Berlino con 'Bye bye Berlusconi', mi sono ritrovata in una realtà culturale estremamente interessante e, anche per scelte personali, ho deciso di restare in Germania. Ho lavorato come attrice, ma, in seguito, mi sono dedicata alla scrittura. Così, ho cominciato a tracciare il progetto di 'Reise nach Jerusalem' ('Il gioco delle sedie')".

Quindi  il film ha avuto un percorso di realizzazione piuttosto lungo...
"Sì, ho iniziato a occuparmene nel 2007, quando ho avuto un finanziamento per lo sviluppo della sceneggiatura. Come capita a tutti i film indipendenti, fare collimare tutte le tessere del progetto non è stato facile: il completamento dello script, recuperare il budget, trovare le persone giuste con cui lavorare."

Nel cast, però, è presente un'attrice eccezionale, Eva Lobau, rilevante interprete nel panorama cinematografico tedesco, che ha illuminato il tuo film...
"Certo, si tratta di una attrice bravissima, che avevo visto in altre pellicole e che mi aveva letteralmente folgorato. Mi sembrava una sorta di Giulietta Masina tedesca! Quando ho preparato il casting, pensavo solo a lei come protagonista. L'ho cercata e le ho dato da leggere la sceneggiatura e le è subito piaciuta moltissimo. A quel punto, non solo ha accettato il ruolo di Alice, ma mi ha supportato nella realizzazione del film."

Nel "Gioco delle sedie" racconti una Germania fuori dagli stereotipi, così vicina, nei suoi problemi economici e sociali, ad altri paesi europei, compresa l'Italia...
"Mi interessava, seppure con una certa leggerezza, mostrare un quadro realistico della Germania, spesso pensata come una nazione dove l'occupazione e il welfare sono perfetti. In realtà, e in questo mi hanno aiutato le osservazioni fatte sul campo e i racconti riferitimi dalle persone incontrate nella quotidianità, i problemi economici e sociali sono altrettanto complicati. Nel film vediamo una donna, non giovanissima, che tenta di reinserirsi nel mondo del lavoro: una missione quasi impossibile. La struttura economica neoliberista anche in Germania ha prodotto una schiera di disoccupati, che servono per calmierare le retribuzioni e abbassare i diritti dei lavoratori. D'altronde, nella nostra società, se non sei occupato non sei nessuno, non conti niente. La mia protagonista appartiene alla classe media, che si sta disfacendo pure in Germania; prova con tutti i mezzi a rimettersi in gioco, persino adattandosi agli inutili corsi di riqualificazione, a cui debbono sottoporsi le persone che ricevono un sussidio dallo stato"

Il tono da te usato, però, è quello della commedia amara, dove si può ridere e commuoversi allo stesso tempo...
"La forma di commedia, direi quasi kafkiana, tipica di un certo cinema italiano, mi aiutava a far sorridere gli spettatori su una situazione esistenziale che poteva essere descritta esclusivamente come un dramma. Sorridere, ridere, invece, semplifica l'identificazione e la comprensione delle vicissitudini della protagonista."

Augurandoti che il tuo film abbia presto una distribuzione anche in Italia, stai lavorando anche ad altri progetti?
"Sto lavorando su due film: uno dovrebbe essere un documentario sui migranti, sui bambini che arrivano in Europa non accompagnati e si ritrovano in una situazione burocratica, anch'essa di tipo kafkiano; l'altro è tratto da un testo teatrale e vede al centro della vicenda un ragazzino bullizzato."

25 ottobre 2019

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