Percorso

Trent’anni fa crollava il muro di berlino

Il simbolo della guerra fredda. Romanzi e film, famosi o nascosti, hanno raccontato la storia e soprattutto l’epica di una divisione del mondo e dell’europa durata quarant’anni.

Il ponte delle spie (2017) di Steven Spielberg, La talpa (2011) di Tomas Alfredson, La Casa Russia (1991) di Fred Schepsi, Il quarto protocollo (1984) di John Mckenzie, I film sull’agente 007 (1962-1987), La spia che venne dal freddo (1966) di Martin Ritt, Ipcress ( 1966) di Sidney Furie, Il sipario strappato (1967) di Alfred Hitchcock, Chiamata per il morto (1967) di Sidney Lumet, Topaz (1969) di Alfred Hitchcock, Funerale a Berlino (1967) di Guy Hamilton, Un cervello da un miliardo di dollari (1967) di Ken Russell, La talpa (1967) – serie tv di John Irvin, Uno, due tre (1961) di Billy Wilder, Gente di notte (1954) di Nunnally Johnson, Accadde a Berlino (1953) di Carols Reed, Salto mortale (1953) di Elia Kazan, Gente di notte (1954) di Nunnally Johnson, Il terzo uomo (1948) di Carol Reed

Il bacio tra breznev e honeckerQualche mese fa, la copertina del supplemento di un noto settimanale di cinema e televisione ha presentato in prima pagina il celebre bacio in bocca, quasi appassionato, tra il segretario generale  Brèžnev , ovvero il capo riconosciuto dell’URSS dal 1964 al 1982, e il suo collega Honecker, leader incontrastato della Germania Est, o meglio DDR, Repubblica Democratica Tedesca.

L’immagine, involontariamente caricaturale – o meglio considerata tale dai noi spettatori dell’occidente abitanti di un altro mondo, allora e oggi – è stata utilizzata anche da altri periodici, nonché dalle tv di tutto il mondo, per celebrare ironicamente l’anniversario della caduta del Muro di Berlino, che avvenne poco più di trent’anni fa, nel novembre del 1989.

Non c’è bisogno di sottolineare – o forse è proprio il caso di farlo, considerando la mancanza di memoria storica delle giovani generazioni che pure hanno molte più possibilità di informarsi rispetto ai loro padri e fratelli maggiori – che quella foto è usata in maniera incongrua, almeno sul piano temporale.  
Difatti Brèžnev, come si è scritto, scomparve nel 1982, dopo un lungo periodo di “imbalsamazione” da vivo, che permetteva ai suoi sodali di esporlo in pubblico durante le cerimonie ufficiali nella Piazza Rossa, a Mosca.

Il muro di BerlinoDopo di lui, altri leader “imbalsamati”, Andropov e Černenko, ne presero il posto, uno dopo l’altro, prima di estinguersi, segnalando al mondo, ovvero soprattutto ai loro nemici, che il problema politico dell’Unione Sovietica era appunto legato all’estinzione di un’intera classe dirigente.
Quella generazione, cresciuta ai tempi di Stalin e della Seconda Guerra Mondiale o, per dirla, con il linguaggio sovietico, alla Grande guerra patriottica, come ancora la si chiama nell’era di Putin, non aveva eredi.
Giusto per capire le dinamiche del potere sovietico in crisi di senescenza, furono proprio gli ultimi due segretari a  indicare, seppure ufficiosamente, che solo un giovane brillante come Gorbaciov avrebbe potuto salvare lo stato e il partito.
Dunque, anche senza il bacio, il contraltare di Honecker dovrebbe essere, in qualsiasi reportage sulla caduta del Muro di Berlino, proprio Gorbaciov, l’ultimo segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, ovvero il capo supremo di quel paese e il controllore dei paesi satelliti, tra i quali appunto la Repubblica democratica tedesca.

Il muro di BerlinoMa quel bacio è, sul piano della divulgazione spicciola, il simbolo di una diversità inconciliabile rispetto al mondo democratico occidentale e dunque anche la traccia di un passato molto più arcaico – nonostante trent’anni siano una manciata di secondi nei tempi lunghi della storia del mondo, come avrebbe scritto Braudel – tale da ipotizzare una diversità  soprattutto antropologica.
Eppure, escludendo la Russia, che ha avuto una storia a parte come luogo di incrocio tra occidente e oriente, i paesi “liberati” dalla svolta di Gorbaciov sono stati ben dentro la storia Europea per diverse centinaia di anni.
Nel cuore della Germania Est stava non solo Berlino ma anche Dresda, Erfurt, Lipsia, cariche di storia e di cultura. E se l’Ungheria, nell’Ottocento, fu associata alla corona austriaca, Praga è stata, per un non lungo periodo, la capitale del Sacro Romano Impero.

Il muro di BerlinoDunque, il crollo del comunismo ha semplicemente riportato a casa delle nazioni e degli stati che, pur con le loro traversie e le loro guerre di difesa e di offesa, sono state parte della cultura e della nostra stessa storia.
Così, visto che questa rubrica si occupa di cinema o, in senso più ampio, di comunicazione audiovisiva, si potrebbe rievocare l’Ottantanove a partire da immagini storicamente più concrete che riguardano la lunga parentesi provocata dalla frattura geopolitica che ebbe inizio nel 1945, proprio alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Ecco dunque i cinegiornali che illustrano il ponte aereo deciso dagli alleati per rifornire di cibo e di ogni altra necessità pratica  Berlino Ovest, teoricamente controllato da Francia, Stati Uniti e Inghilterra.
Il blocco economico di Berlino del 1948, deciso da Stalin che avrebbe voluto inglobare nel nuovo stato, che sorgerà l’anno dopo, la capitale dell’intera Germania, fu sconfitto dal maggior benessere occidentale e dalla paura di una nuova guerra.

Il muro di BerlinoPoi ci saranno le rare immagini della rivolta dei tedeschi dell’est, diventato uno stato comunista, appunto la DDR, in traduzione Repubblica democratica tedesca. Siamo nel 1953, appena quattro anni dopo la sua nascita. Bertolt Brecht, che aveva scelto di vivere e lavorare nel nuovo stato comunista, commentò quei fatti con la celebre e caustica frase: “Se il popolo scende in piazza contro un governo che non può essere cambiato, si può sempre cambiare il popolo”.
Infine nel 1961, per evitare che il nuovo stato si desertificasse a causa del passaggio libero verso Berlino Ovest, fu edificato il celebre Muro e, da quella data, tennero banco le immagini dei tentativi disperati e quasi sempre nefasti di “saltarlo” per passare in occidente.
A queste immagini fotografiche e filmiche è facile aggiungere la rivolta ungherese del 1956, finita nel sangue, e poi l’invasione sovietica di Praga del 1968, che pose fine alle riforme democratiche di Dubček. Infine, il “Deus ex machina” del crollo del comunismo è stato sicuramente Giovanni Paolo II, un Papa proveniente dalla Polonia comunista, attorno alla cui vita e alla cui gloriosa e trionfante carriera, i film, anche di finzione, e le immagini fotografiche e documentarie occuperebbero un archivio imponente.

Il muro di BerlinoUn altro modo per ricordare l’est comunista e le sue traversie sarebbe quello di recuperare la sua produzione filmica, letteraria e teatrale, coreutica, grafica che, al di là delle ovvie censure e, in URSS, anche di incarcerazioni  e deportazioni in Siberia, o ricoveri coatti in ospedali psichiatrici, testimoniavano il bisogno di sentirsi nazioni – dunque con un proprio passato anche culturale – che resistevano al pensiero unico dei dittatori.
Poiché mi riprometto di tornare su questo argomento mi limiterò a fare qualche nome: Polanski, Wajda, Skolimowski, Zanussi, Kieslowski, Kantor, Grottowski per la Polonia; Forman,  Chytilová,  Passer,  Papoušek,   Němec,  Jasný,  Schorml, Herz,  Jakubisko,  Uher,  Kadár, nonché lo scrittore  Kundera e il regista teatrale Svoboda per la Cecoslovacchia; Jancso, Mezaros, Szabo, Gal, Gabor per l’Ungheria. Ed infine una infinità di nomi celebri in URSS che, curiosamente,  dopo gli anni delle avanguardie e di Ejzenstejn, ebbe il suo momento di massima popolarità cinematografica, conosciuta anche in occidente, proprio negli anni terribili di Brèžnev.
Ma questa è solo una delle tante piste che ci permetterebbero di conoscere meglio, cioè di non rimuovere dalla nostra memoria e dagli archivi della storia filmica, il lungo inverno della Guerra Fredda.

Il muro di BerlinoProviamo così ad elencare altre piste narrative meno esclusive o specialistiche di quelle appena descritte, ripensando a quanto già scritto, in occasione di un altro anniversario – ventennale – della caduta del Muro e mettendo in campo una serie di grandi cicli storico-letterari-filmici ormai quasi dimenticati.
In quell’occasione ipotizzavo che La casa Russia di John Le Carrè  sarebbe stato ricordato come l’ultimo grande romanzo sulla Guerra Fredda, apparso peraltro quando ancora aleggiavano sul mondo i suoi ultimi spifferi. Apparve, non a caso, nel 1989, l’anno della caduta del muro, e l’anno seguente fu poi portato sullo schermo dall’inglese Fred Schepsi (Connery e la Pfeiffer ne furono i principali interpreti), che ebbe la grande soddisfazione di poter girare gran parte degli esterni tra Mosca e San Pietroburgo.
L’Impero del male, termine cinematografico caro a Reagan, era sul viale del tramonto e si offriva finalmente allo sguardo dei registi occidentali.

La casa RussiaPer chi conosce libro e/o film  non è difficile ipotizzare che in occidente i servizi segreti sospettassero da tempo che l’Unione Sovietica, dopo la grande trappola dell’Afghanistan – sorta di Vietnam che però riguardava una società ed un potere già malati terminali – fosse sul punto di “implodere” e d’altronde questa fu l’opinione dell’allora ambasciatore italiano a Mosca, Sergio Romano, oggi editorialista del Corriere della Sera, che si dimise dall’incarico sostenendo che l’appoggio a Gorbaciov  da parte del governo italiano fosse inopportuno, visto che le sue riforme sarebbero sicuramente fallite, come infatti accadrà.
Le altre grandi  nazioni occidentali preferirono infatti puntare al dissolvimento dell’intero blocco comunista che fu velocissimo – l’URSS finì di esistere ufficialmente nel dicembre del 1991 dopo due anni di crisi e di rivendicazioni indipendentiste delle repubbliche periferiche – mettendo in luce, anche in questo caso, l’esistenza di un cancro di lunga data e ormai terminale che aveva corrotto gli organismi di potere e non solo quelli economici.

D’altro canto, per chi si ricorda di nuovo La casa Russia, la chiave delle due opere, romanzo e film, sta tutta in una informazione che un agente librario riceve, indirettamente, da uno strano personaggio, in realtà un noto fisico nucleare, che, durante un pranzo ad alto tasso alcolico a Peredelkino, rifugio degli intellettuali sovietici, l’aveva corteggiato dichiarandosi pronto a tradire il suo paese pur di salvare la pace mondiale.

La casa RussiaIl messaggio indicava appunto che la potenza militare sovietica era in declino e che persino la ricerca applicata ai settori militari era assolutamente carente in ogni settore.
Da questo spunto comincia un “grande gioco” – per usare una terminologia ottocentesca applicata alla Guerra Fredda – che costringe il protagonista a diventare un vero e proprio agente, benché piuttosto scettico, dei servizi segreti. La conclusione è aperta, come nella realtà delle riforme di Gorbaciov: come finirà l’Impero del male caro al presidente Reagan?
Fuori dalla finzione, benché di alto livello profetico, già nel 1992, appena un anno dopo la dissoluzione dell’URSS, un reportage quasi casuale del grande Tiziano Terzani, Buonanotte signor Lenin – forse il suo libro più bello – raccontava ciò che era successo nelle periferie dell’Impero.

Terzani era nell’estremo oriente russo, quando a Mosca ci fu il golpe fallito dell’agosto 1991, che finì per travolgere anche il riformismo di Gorbaciov, consegnando il potere a Boris Eltsin, il quale mise fine all’Unione Sovietica come stato unitario, concedendo l’indipendenza ai paesi associati o conquistati dopo la seconda guerra mondiale.
Il giornalista e scrittore, mentre era in corso “la battaglia di Mosca”, si trovò nell’impossibilità di muoversi per tornare ad ovest: in ciò che restava dell’Unione Sovietica non funzionava più niente e meno che mai i trasporti, se non quelli locali. Così decise di tornare a casa viaggiando su autobus e treni a breve percorrenza o anche sulle poche auto private che gli concedevano un passaggio.
Arrivò a Mosca dopo un mese, quando tutto era finito e l’URSS non esisteva più. Aveva però taccuini appuntati con interviste e osservazioni registrate durante il viaggio. Aveva attraversato soprattutto la parte sud dell’immenso paese, ovvero proprio le repubbliche pre caucasiche che, da tempo, si erano date un’organizzazione separatista guidata dalle autorità religiose musulmane.

Terzani, insomma, registrò il terremoto quando ancora non era attivo ma aveva ben chiaro – e lo scrisse – che ciò che aveva visto e sentito era il futuro dell’Unione Sovietica, ovvero una Russia senza più stati satelliti o aggregati forzatamente alla capitale. E non solo, ma proprio in gran parte di quei nuovi stati, serpeggiava l’estremismo islamico che avrebbe creato altre guerre “civili”, come ad esempio quella cecena.
Ma, per così dire, qui ha inizio un altro film o meglio un’altra filmografia, rivolta a ciò che era accaduto prima della fine dell’URSS.

Il dottor ZivagoTornando all’argomento principale di questo scritto, ci si può chiedere preliminarmente  quali siano stati i principali filoni narrativi nutriti dalla  Guerra Fredda.
Segnalo obbligatoriamente tre emergenze dell’epoca, impegnandomi ad approfondirle in altri scritti, anche se da tempo questi temi  hanno esaurito la loro carica mitologica. La prima è il maccartismo dell’immediato dopoguerra, che pure, sul piano storico, ha letteralmente cancellato dalla terminologia politica americana, la stessa idea della sinistra politica.
Secondariamente, il dissenso sovietico – da Pasternak a Solženicyn – meno ricco di film e romanzi ma certamente non disprezzabile sul piano mediatico  e un tempo sulle prime pagine della stampa, anche per il grande colpo del trafugamento del manoscritto de Il dottor Zivago da parte di un agente dell’editore Feltrinelli.

E infine, la paura della bomba atomica, oggi scomparsa, anche se, con la proliferazione di queste armi in diversi paesi “non controllabili”  né dagli Stati Uniti né dalla Russia e tantomeno dalla Cina, è certamente più pericolosa di allora. Forse non viene percepita come un pericolo reale, poiché, anche ai tempi della Guerra Fredda non accadde niente di allarmante , a parte la crisi di Cuba del 1962. Ci siamo così abituati a convivere con questo pericolo. Ci restano però libri e film sull’argomento, quasi tutti di produzione statunitense. Il che ci fa riflettere sul fatto che il dominio mediatico del cinema hollywoodiano, così tanto disprezzato e spesso considerato fasullo e ingannatore, non senza buone ragioni, è stato ed è tuttora una grande macchina mitologica che, come scriveva Borges, ha perpetuato l’epica classica.

James Bond 007Il collante di tutti questi filoni, alla fine, è stato un supergenere filmico e romanzesco che vanta una biblio-filmografia sterminata, saldamente intrecciata con i grandi eventi storici dell’Otto/Novecento.
Immagino che i lettori, a questo punto, si aspettino la citazione, sintetica o estesa, del più importante fenomeno filmico dedicato alla guerra di spie del dopoguerra: i film che hanno come eroico e simpatico protagonista James Bond, alias l’agente 007, inglese, creatura legata ad una sorta di illusione imperiale che, anche dopo il 1945, teneva in piedi la Gran Bretagna e ciò che restava della sua potenza declinante. L’inventore di una saga tuttora in buona salute filmica e commerciale, nonostante la lontananza epocale dal suo periodo d’oro,  fu un vero agente segreto, Ian Fleming, ovviamente britannico ma di origini scozzesi come i suoi due sue conterranei, Stevenson e Scott, anch’essi inventori di trame storico-fantastiche.

Nato nel 1908 a Londra, Fleming  fu una vera spia da “guerra calda”  visto che durante la seconda guerra mondiale architettò e portò avanti con freddezza molte imprese, e alcune degne di essere “novellizzate”, cioè riscritte per i lettori.

James Bond 007Ad esempio il piano che, attraverso il cadavere di un ufficiale ritrovato dagli spagnoli su una spiaggia andalusa, con tanto di falsi documenti segreti, permise agli Alleati di persuadere i tedeschi che lo sbarco sarebbe avvenuto in Sardegna o in Grecia e non in Sicilia. Fleming fu anche la guida occulta dell’operazione Enigma che riuscì a decrittare il codice usato dai tedeschi per indicare gli obbiettivi ai sommergibili che attaccavano i convogli nell’Atlantico.
La serie spionistica di 007 nacque nel 1952 con il romanzo Casinò Royale, scritto quasi per hobby, giusto per trovare un diversivo alla pesca subacquea praticata in Giamaica, suo “buen ritiro” dopo le dimissioni dal servizio attivo.
Fleming pensò subito ad una possibile trasposizione filmica e aveva in mente anche un interprete, Cary Grant, ma il progetto fu respinto con motivazioni che, allora, sembravano logiche e inoppugnabili: troppo sesso, troppa violenza. In pratica venivano rifiutate le caratteristiche principali che determinarono, dieci anni dopo, il successo della serie.

Comunque a questo primo romanzo di Fleming fu data, nel 1954, un’opportunità televisiva, in una serie avventurosa intitolata Climax. L’interprete era Barry Nelson e il suo avversario, Le Chiffre, il grande Peter Lorre, ormai invecchiato e privo del carisma che apparteneva interamente al cinema classico. Non fu un grande successo, visto che la proposta dello scrittore per una serie di ben trentadue episodi fu immediatamente accantonata.
Ripescata qualche anno fa dalla programmazione di Sky, questa prima trasposizione mostra appunto quel tanto di “vecchiezza” non sfruttabile, neanche allora, per una serie cinematografica o televisiva che avrebbe dovuto tener conto di ben altre aspettative del pubblico.
Ovviamente, nel contesto specifico di questo scritto, l'interesse maggiore per i romanzi e soprattutto i film di 007 riguarda il loro legame con la guerra di spie tra l'occidente, in particolare la Gran Bretagna, e l'Unione Sovietica, il che è già una deviazione, quasi incongrua dal vero centro della Guerra Fredda: il conflitto quasi silenzioso ma talvolta molto chiassoso tra USA e URSS.

James Bond 007Ma il fascino della serie sta anche in questo percorso  quasi “fantastorico”.  E ciò accade fin dall’inizio del filone cinematografico con Licenza di uccidere, ovvero nel marzo 1962 (un anno dopo in Italia), visto che proprio quell’anno è segnato dalla più grave crisi della Guerra fredda: l’installazione dei missili nucleari sovietici a Cuba, e preceduta, nel 1960, dalla cattura dell’aereo spia U2 statunitense in territorio sovietico e dalla seconda crisi berlinese (1961), conclusasi con la velocissima costruzione del Muro che tagliò in due l’ex capitale tedesca.
In questo scenario da “guerra calda”, fortunatamente spenta in tempi abbastanza rapidi,  James Bond dà la caccia ad uno scienziato pazzo, Il dottor No – l’interprete è un grande caratteristica, Joseph Wiseman – figlio di un tedesco e di una cinese, che vuole boicottare la nascente potenza spaziale americana, ma che agisce per conto di un multinazionale del crimine legata proprio alla Cina comunista.

All’epoca, dopo la rottura con Mosca, quell’immenso paese se ne stava tranquillo e sembrava ancora, e forse lo era, una nazione del Terzo Mondo, nonostante possedesse la bomba atomica.
La presenza cinese fu confermata in altri titoli degli anni Sessanta (Goldfinger, Si vive solo due volte) mentre la doverosa presenza sovietica in Dalla Russia con amore, secondo titolo della serie, viene sostanzialmente “occultata” o meglio sovrastata dall’emersione della Spectre, multinazionale del crimine che, appoggiandosi anche a potenze straniere (appunto l’URSS e la Cina), cerca d’impossessarsi del mondo intero.
Proprio l’invenzione della Spectre, elemento decisamente fumettistico e volutamente caricaturale, tale da appassionare anche i cultori del cinema “alto” proprio per la sua carica di umorismo volontario e studiato fin nei dettagli, a costituire l’elemento, per così dire, disincantato. Ma, dietro l’umorismo e il disincantato, prendeva forma anche un’ideologia che oggi potrebbe essere recuperata in senso economico imperiale: le vere potenze mondiali sono le multinazionali, non del crimine, ma dell’economia.

James Bond 007La politica degli stati-nazioni è dunque sovrastata da queste occulte Spectre del nostro tempo. Non a caso, il filone bondiano si evolverà sempre di più costruendo delle figure di grandi criminali – e, per inciso, quasi sempre manifestamente pazzi – padroni di immensi imperi economici, soprattutto in campo tecnologico, che vogliono dominare il mondo intero o distruggerlo per ricreare un’umanità pura nello spazio.
Il grande fumetto cinematografico, scaturito dalla Guerra Fredda, si allontanava progressivamente dall’attualità e finiva per diventare quasi un genere a se, di discendenza fantascientifica, anche se, purtroppo, ancora occhieggiante all’attualità contemporanea. Quanto ai sovietici, proprio all’inizio degli anni Ottanta la loro presenza nella serie bondiana si caratterizza, a partire da Octpussy (1983), con una presenza, per così dire laterale ed eversiva, di singoli “felloni” che, in barba alla “coesistenza pacifica” tra USA e URSS – che è comunque durata per l’intero dopoguerra, magari spostando le tensioni e l conflitti nelle periferie (Vietnam, America Latina, Afghanistan, Medio Oriente) – vogliono scatenare una nuova guerra, magari al servizio proprio della Spectre.

Negli stessi anni, non a caso, un film emblematico, Il quarto protocollo (1984) di John Mckenzie, tratto da un bel romanzo di Federic Forsyth, ipotizza un complotto di politici e diplomatici sovietici che, attraverso un attentato nucleare ai danni di una base statunitense in Gran Bretagna, dovrebbe convincere i britannici del pericolo di avere come alleati gli Stati Uniti e riavvicinarli all’Urss attraverso nuovi trattati e una indicibile infiltrazione dei loro servizi segreti.
Nel romanzo, il complotto è organizzato dalla celebre spia Kim Philby, che, ai primi anni Sessanta, assieme ai suoi amici, (Donald MacLean, Guy Burgess, Anthony Blunt, John Cairncross), passò armi e bagagli al soldo dell’Unione sovietica diventando il consigliere occulto della sezione europea del KGB.
I cosiddetti “Cinque di Cambridge” – ovvero diplomati e addestrati negli anni Trenta, dopo essersi laureati in quella prestigiosa università – erano fin dall’anteguerra  militanti comunisti che facevano il “doppio gioco”, forse non del tutto sconosciuto ai governanti occidentali  visto che l’Urss era obbligatoriamente legata alle forze angloamericane che combattevano contro il nazismo.

Ma nel dopoguerra causò grandi danni e decise la sostanziale autonomia e supremazia del servizio segreto americano, la CIA, nata appunto dopo la seconda guerra mondiale e assolutamente diffidente nei confronti dei loro cugini britannici.
Forse è questo gravissimo “vulnus” alla grandezza e all’inviolabilità dell’ex impero ad aver provocato una reazione letteraria e filmica straordinaria e non “relegata” alle semplici e quasi ludiche avventure di 007. Difatti, oltre a Forsyth, si possono citare altri britannici come Robert Harris, Len Deighton e soprattutto il maggior scrittore di “spy stories”  del dopoguerra, il già citato John Le Carrè.  
Anche Le Carrè è un ex agente dei servizi segreti che fu travolto, benché senza alcuna accusa di complicità, dallo scandalo dei “Cinque di Cambridge” e cambiò mestiere, romanzando in maniera straordinaria la triste “normalità” del mestiere di spia per oltre cinquant’anni.

Ovviamente tanti suoi romanzi divennero dei film piuttosto famosi, basati quasi sempre su intrighi che svelavano proprio le infiltrazioni parallele e intrecciate dei servizi segreti nemici, ma anche il lato umano (o disumano, il che è quasi la stessa cosa) del mestiere di spia.
In Le Carrè, per essere più chiari, la giusta causa finisce sempre per creare un rispecchiamento della spia buona – cioè occidentale – in quella cattiva, creando una sorta di “gioco delle parti” che si autoalimenta senza risultati politici concreti o spesso mettendo in evidenza un “mondo a parte” nel quale la maschera del bene è sovrastata da terribili delitti, torture, degradazione, tradimenti continui anche tra colleghi.
Sia Leighton che Le Carré – ma più quest’ultimo, come si vedrà – hanno ispirato, con i loro romanzi, numerosi film che hanno finito per diventare il controcanto drammaturgicamente credibile e quasi sempre tragico della guerra di spie.

IpcressDi Len Deighton si può ricordare Ipcress , che ebbe un buon successo anche sullo schermo, con lo stesso titolo (il regista è Sidney Furie), nel 1966. Protagonista l’agente Harry Palmer, interpretato da un giovane Michael Caine, che cerca di “recuperare”, vivo e integro, uno scienziato nucleare rapito dagli agenti sovietici a Londra.
Il film successivo, meno intrigante, fu Funerale a Berlino (1967) di Guy Hamilton, che raccontava le trattative – segrete ma non troppo – per far espatriare un ufficiale sovietico di stanza a Berlino che portava con se con numerosi informazioni sull’impero sovietico-comunista.
Dietro la trama principale si nascondevano  però i fantasmi della guerra vera, quella conclusa nel 1945, con tanto di ex nazisti riciclati nei campi opposti dello spionaggio internazionale. Infine, decisamente brutto, eccessivamente caricaturale (quasi uno 007 sfuggito di mano ai suoi autori),  è Un cervello da un miliardo di dollari (1967), che raccontava la missione di un agente – di nuovo Harry Palmer – che deve sventare un progetto di guerra nucleare architettato da un miliardario americano contro l’Unione Sovietica.

Ovviamente anche questo episodio fantastico, che sembra ideato dai produttori della serie bondiana, è un segno di quell’intrusione inglese che serviva più che altro a non dimenticare la gloria dell’ex impero. E non a caso, il film fu diretto da un eversore dei generi e dei miti come l’inglese Ken Russel.
Ma tornando a Funerale a Berlino, la ricomparsa dei “fantasmi” o dei protagonisti della guerra calda conclusasi nel 1945, quando l’Unione sovietica fu un alleato determinante per sconfiggere la Germania nazista, riappare proprio nel primo titolo di John Le Carrè, Chiamata per il morto (1961), portato sullo schermo nel 1966 dall’americano Sidney Lumet.
Difatti l’intrigo presenta un ex militante comunista, poi agente del controspionaggio, che viene ucciso perché non riveli una trama segreta tra la moglie, ex deportata ebrea, e un suo vecchio amico tedesco che lavora per i servizi segreti dell’est comunista.

Il romanzo, ma non il film,  presenta per la prima volta il personaggio chiave della narrativa spionistica dello scrittore: George Smiley, travagliato agente segreto in bilico tra dovere e sofferenza sentimentale, o anche tra una comprensione umana nei confronti dei terribili nemici, e il dovere e l’integrità morale di un funzionario dello stato. Smiley, che potremmo definire l’anti 007, ricomparirà, come comprimario, in una sorta di intrigo kafkiano, La spia che venne dal freddo, portato sullo schermo da Martin Ritt nel 1966, con Richard Burton e Claire Bloom come protagonisti. Ambientato tra Londra e la Germania comunista, si conclude tragicamente proprio nell’appena costruito Muro di Berlino, e con delle vittime innocenti, già designate in anticipo per essere sacrificate agli interessi generali dell’ex Impero.
Romanzo e film sono probabilmente gli esiti migliori della narrativa e del cinema spionistico dell’epoca. Sul piano della mitologia, inoltre, Le Carrè presenta per la prima volta il suo nemico, “compagno segreto” conradiano, l’agente Karla, che, in tempi recenti, dopo la caduta del Muro, qualcuno ha voluto identificare in Markus Wolf, celebre e onnipotente capo della Stasi, il servizio segreto della DDR.

La talpaLe Carrè, che non ha mai voluto “autenticare” questa diceria, lo racconta in dettaglio anche in altri romanzi, il più celebre dei quali è La talpa, nel quale George Smiley diventa finalmente protagonista.
Quest’anonimo funzionario – che potrebbe appunto essere lo stesso Le Carrè – percepisce che ai vertici del Servizio segreto c’è una vera e proprio infiltrazione da parte dei sovietici. La sua meticolosa caccia, che gli costa anche una sorta di deriva familiare – contraltare della sua eccessiva fiducia negli esseri umani – finirà per far smantellare dal governo l’intera struttura di vertice dei servizi segreti, diventando egli stesso il capo del nuovo ufficio.
A questo bellissimo romanzo seguirà Tutti gli uomini di Smiley, in cui appunto, il nuovo servizio segreto farà pulizia anche negli uffici periferici e stranieri. Entrambi i romanzi verranno portati in tv, dalla BBC, con una bellissima serie che si vide, ai primi anni Ottanta, anche su Retequattro. George Smiley era interpretato dal grande Alec Guiness. Del suo carisma e della sua calma razionale si deve essere ricordato Gary Oldman che, nel 2011, ha interpretato di nuovo Smiley, ricalcato quasi interamente da quello di Guiness e firmato da Tomas Alfredson con il vecchio titolo del romanzo, La talpa.

La casa RussiaInfine, dopo tante altre avventure spionistiche in giro per il mondo, quasi sempre transitate anche sullo schermo, la chiusura, forse provvisoria, del capitolo Est Europa avviene, come ho già scritto, con La casa Russia.
Va notato che la regia di quel film è di Fred Schepsi, australiano di origini italo-britanniche, mentre Tomas Alfredson è svedese. Tutti gli altri film citati hanno firme statunitensi (Martin Ritt e Sidney Lumet) piuttosto famose nel cinema di genere, mentre la serie televisiva è di John Irvin, inglese.
Come dire che se il  mondo romanzesco ha ancora una dimensione nazionale forte e riconoscibile, il cinematografo è sempre più globalizzato, in ragione di una dimensione produttiva che deve cercare finanziamenti e sblocchi commerciali dappertutto.
La forte ’“esposizione” inglese – almeno in ambito immaginario – nell’ambito delle storie da “guerra fredda” di tipo spionistico, è comunque rilevabile fin dall’immediato dopoguerra.

In qualche modo il film che inaugura il filone è il celeberrimo Il terzo uomo di Carol Reed, sceneggiato da Graham Greene e portato sullo schermo nel 1948 da Carol Reed, con il personaggio – ormai diventato mitologico – di Harry Lime, trafficante americano senza scrupoli interpretato da Orson Welles.
Due anni dopo, Greene, già famosissimo come romanziere e autore di copioni filmici, lo avrebbe trasformato in un vero e proprio romanzo con lo stesso titolo.
Il terzo uomo – film e romanzo – potrebbe essere definito, sul piano storico, una sorta di anteprima della “guerra fredda”. È infatti ambientato nel 1945 a Vienna,  luogo di mediazione tra i già opposti campi dell’est e dell’ovest: da una parte inglesi, francesi e statunitensi, dall’altra i sovietici. E tutte le quattro potenze vincitrici garanti dell’equilibrio politico-militare e della sicurezza della città.
Data la nazionalità dello scrittore e del regista, il nodo del racconto si snoda attraverso la vigilanza severa e quasi assoluta degli inglesi, ma la chiave di volta sta però in mano a due personaggi nord americani: uno scrittore di romanzi d’avventura e un trafficante di penicillina “fasulla” che, dopo essersi arricchito, è stato ucciso o forse è solo scomparso per sottrarsi alla cattura.

Accadde a BerlinoSi potrebbe sovrapporre a questa sintetica descrizione il fatto che il personaggio brigantesco di Harry Lime sia interpretato da Orson Welles e che la sua impronta non solo attoriale ma anche registica, con quelle prospettive sghembe e in campo lungo, distorte come in Quarto Potere, siano alla base del successo e della originalità del film che, in realtà, sembra ipotizzare non una guerra fredda – che pure si nota nelle poche apparizioni dei militari inglesi e russi – ma piuttosto il solito caos post bellico, governato male dai vincitori.
In realtà, proprio il caos, cioè l’arte di arrangiarsi e il cinismo assoluto dei personaggi, finisce per diventare il prologo alle guerre delle spie che, dopo la normalizzazione dell’Austria, ridiventata stato sovrano e neutrale, si sposterà definitivamente a Berlino.
Non a caso, sarà lo stesso Reed, nel 1953, a proporre – senza Greene e senza Welles – una sorta di Terzo uomo berlinese, interpretato da un grande James Mason che fa il trafficante e la spia tra le due parti dell’ex capitale tedesca non ancora divisa dal Muro. Il film è Accadde a Berlino e, giusto per segnalare le prime presenze produttive statunitensi, questo film non troppo famoso è anticipato da una pellicola legata strettamente alla cronaca dell’epoca, La città assediata (1950) di George Seaton, con Montgomery Clift. Difatti, il cuore del racconto sta nelle  disavventure di alcuni militari americani impegnati nel soccorso alimentare agli abitanti di Berlino est, impossibilitati dai sovietici a recarsi ad Ovest per fare la spesa. Ovvero, il vero esordio della Guerra Fredda.

Invece, nel 1953, con Salto mortale di Elia Kazan, la guerra fredda si sposta verso la Cecoslovacchia, raccontando le disavventure di un circo praghese la cui tournè europea è anche un pretesto per fuggire dall’Europa Comunista.
Infine, nel 1954, Gente di notte di Nunnally Johnson è il primo vero film di spionaggio della Guerra Fredda, ambientato ancora a Berlino e basato sulla vicenda di un ufficiale americano rapito da sovietici.
Saltando agli anni Sessanta del dominio bondiano e del cinema di spionaggio inglese di cui si è già scritto, una curiosa alternativa a questi due filoni è Uno, due tre (1961), tardivo film di Billy Wilder, originario della Galizia austriaca, che già negli dell’occupazione alleata di Berlino aveva girato diversi documentari sulla “denazistificazione”, nonché una commedia, Scandalo Internazionale (1948), con Marlene Dietrich, che raccontava, in chiave comica, l’arte di arrangiarsi di tedeschi e americani.

TopazInvece, quindici anni dopo, con la Germania di nuovo patria del benessere, inventa una storia corrosiva sul potere del commercio. Il protagonista, interpretato da un James Cagney già sul viale del tramonto, è infatti il direttore della filiale della Coca Cola a Berlino Ovest, impegnato ad esportare quel simbolo del capitalismo dall’altra parte del muro. L’ostacolo principale è però la figlia, innamorata di un comunista duro e puro di Berlino Est. Non resta che persuadere il ragazzo del maggior conforto individuale del capitalismo, rispetto alle “durezze” del comunismo.
E ancora, sempre negli anni Sessanta, anche Hitchcock, con un film decisamente minore – ma pieno di grandi trovate drammaturgiche – come Il sipario strappato (1966) mette in scena uno scienziato nucleare (Paul Newman) che finge di passare dalla parte comunista per carpire alcuni segreti della costruzione dei razzi che conquisteranno lo spazio. Lo stesso Hitchcock, nel 1969, aveva diretto un altro “dimenticabile” film di spionaggio, Topaz, che prendeva spunto dall’installazione dei missili sovietici a Cuba.

Infine non si può non segnalare che il bellissimo film di Steven Spielberg Il ponte delle spie (2016) sembra voler chiudere definitivamente i conti con le due mitologie opposte della guerra (fredda e calda) al comunismo, con tanto di spie che si muovono nei campi opposti e della reazione “ossessiva” dell’opinione pubblica americana del tempo che diede origine al maccartismo.
Temi paralleli o contigui alla “Guerra Fredda”, come ho già scritto, non furono però solo racchiusi in questa rielaborazione  creativa del mondo spionistico. Difatti, soprattutto nel cinema hollywoodiano, o statunitense tout–court, la politica, cioè l’adesione alle tematiche che riguardavano direttamente le funzioni istituzionali, il controllo dell’opinione pubblica a fini politici, gli intrighi militari o dell’alta finanza, non e mai mancata, fin dai tempi di Frank Capra e John Ford, o di Quarto Potere di Orson Welles, film sicuramente politico, al di la del suo straordinario sperimentalismo linguistico.

Il dottor StranamoreMa nel decennio successivo, archiviato il maccartismo o perlomeno i suoi esiti censori,  la paura di un conflitto atomico lego il filone politico al genere fantascientifico: A prova d’errore (1964) di Lumet, Il dottor Stranamore (1964) di Kubrick, L’ultima spiaggia (1964) di Kramer sono i film più segnati dalla distopia di un mondo distrutto da una guerra atomica.
Altri film politici importanti del periodo – e contigui con l’ideologia della Guerra Fredda – furono Tempesta su Washington (1962) di Preminger o Sette giorni in maggio (1964) di Frankenheimer, entrambi basati su ipotesi di complotto contro il presidente Usa, accusato di non voler affrontare con adeguati mezzi militari l’Unione Sovietica.

The Manchurian candidateMa in quelle due opere c’era ancora una trasparenza drammaturgica e narrativa capace di trasformasi in messaggio rassicurante sulla tenuta della democrazia. Negli stessi anni, pero apparve anche un interessante prologo alla tematica principe degli anni Settanta, ovvero il potere dei servizi segreti e delle organizzazioni lobbistiche: Va e uccidi (1962) di Frankneimer,  rifatto e attualizzato recentemente con lo stesso titolo inglese del 1962, The Manchurian candidate.
Nell’opera originale si racconta di un misterioso complotto dei comunisti cinesi che hanno “infiltrato” segretamente loro agenti in stato di trance nel parlamento di Washington. Mentre nel recente remake, interpretato da Denzel Washington,e diretto nel 2004 da Jonhatan Demme, si percorre la pista “gloriosa” degli anni Settanta in cui i servizi segreti erano stati rappresentati come veri e propri “agenti del male”, capaci di sabotare la democrazia e – caso Kennedy in cattedra – uccidere i politici che creano disturbi al loro progetto.

Ma nel frattempo era appunto crollato l’Impero del male e, dopo un breve periodo di illusione che prospettava un futuro senza guerra e senza servizi segreti, i nemici dell’occidente si sono moltiplicati ed anche la letteratura e il cinema spionistico ha dovuto reinventarsi. Ma questo è un argomento per un altro possibile scritto.

27 febbraio 2020

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