Percorso

La Maddalena, o l'anima di Volontè

"Il vento si alza, bisogna provare a vivere" recita l'epitaffio del grande attore cui il festival de La Maddalena è dedicato. Una quattro giorni ad alta intensità emotiva a contatto con gli attori e il loro incanto. Perché i momenti magici esistono ancora, basta saperli cercare. di Elisabetta Randaccio

 
Chi discute ancora sull'arte dell'attore e non sull'inutile gossip? Se è vero che anche nei quotidiani, un tempo rinomati per l'attenzione alla pagina culturale e degli spettacoli, ormai gli interventi critici – non solo su questo argomento - sono ridotti al minino, dobbiamo ricercare altrove l'approfondimento, la ricerca e le testimonianze sull'interprete in ambito cinematografico...
Una interessante opportunità è il festival La valigia dell'attore (La Maddalena 2-6 luglio), tappa de Le isole del cinema, sorta di periplo culturale della Sardegna che tocca, oltre a La Maddalena, Tavolara, l'Asinara e, infine, a settembre, Carloforte. Ideato da Giovanna Gravina, colta e precisa organizzatrice, e curato insieme all'associazione Quasar e a una squadra di collaboratori di valore, la manifestazione nasce nel segno dell'arte di Gian Maria Volonté, attore straordinario scomparso prematuramente nel 1994, che riposa nel piccolo cimitero di La Maddalena in una tomba commovente per la semplicità: due piccole pietre di granito, le belle piante grasse che la invadono e la scritta in francese Il vento si alza, bisogna provare a vivere. Il suo ricordo ha aperto il festival con la proiezione di un suo film. Se, bisognerebbe “non solo comprendere gli attori (...) ma attribuire a questi il posto che loro compete nella costruzione del film” (Livio), Gian Maria Volonté è stato spesso un punto di partenza fondamentale per la creazione delle pellicole a cui ha partecipato, impossibili da pensare senza il suo contributo artistico-culturale. L'opera, a cui si è dato spazio quest'anno, cioè Io ho paura (1977) di Damiano Damiani, è una di queste. Legata al contesto storico degli anni di piombo, palpita ancora proprio per la straordinaria prova dell'attore.

Paolo Virzì e Isabella Aragonese Nei giorni seguenti, gli interpreti che si sono avvicendati negli incontri del pomeriggio e prima delle proiezioni serali hanno espresso sinceramente e semplicemente problemi e gioie dell'arte recitativa riuscendo, senza filtri, ad analizzare i percorsi delle proprie carriere, raccontandone le tappe principali, non avendo paura di stigmatizzare pure i momenti di delusione e di difficoltà. E' stata interessante anche la partecipazione di alcuni registi che hanno aiutato a definire la complessa elaborazione e costruzione dell'opera cinematografica. In questo senso, Paolo Virzì accompagnando Isabella Ragonese, una delle protagoniste di Tutta la vita davanti, ultima fatica del regista, proiettata al festival, ha parlato “di stretta complicità con gli attori per la riuscita di un film”. E, mentre la Ragonese ricordava il metodo adottato da Emauele Crialese in "Nuovo mondo" - film nel quale esordì sul grande schermo - fatto di stimolo all'improvvisazione, di attenzione più ai non professionisti che agli attori già affermati, Virzì ha messo in evidenza la varietà di tecniche usate per dirigere gli interpreti. Pensando a come ha lavorato con una bambina in Tutta la vita davanti, utilizzando una buona dose di “cattiveria” per arrivare a un buon risultato, ha ricordato Vittorio De Sica, che, per ottenere una scena efficace dai piccoli protagonisti, ricorreva a espedienti anche un po' “crudeli”..

Del “metodo” stanislawskiano, fonte primaria di una certa recitazione hollywoodiana, ha discusso Sandra Ceccarelli, apparsa in un look sorprendente per lo spettatore abituato a vederla sul grande schermo fotografata in una bellezza algida e raffinata, cioè totalmente rasata e magrissima (“Ho finito di girare una fiction per Sky per la regia di Alex Infascelli: un personaggio problematico, affetto da alopecia, che, alla fine, si taglia con rabbia i capelli prima di commettere un delitto”). L'attrice ha ricordato di essere entrata nel mondo dello spettacolo per caso, scelta da Giuseppe Bertolucci per "Segreti segreti", in cui aveva la parte della figlia di Stefania Sandrelli.
 
Sandra CeccarelliAveva solo quindici anni e visse quella esperienza in maniera divertita, non pensando di intraprendere quella carriera. Ha, poi, ricordato le avventure teatrali (“tremende”) e il film che le diede la popolarità nonché la Coppa Volpi a Venezia: Luce dei miei occhi di Giuseppe Piccioni. In questo momento della sua vita, affrontare una nuova interpretazione è diventato sempre più complicato, il peso della responsabilità si è fatto maggiore, la paura di deludere o di sbagliare le provoca ansia. Gli stage fatti sul metodo dell'Actor's studio le hanno insegnato “a riuscire ad avvicinarsi alla mente dei personaggi da affrontare, magari solo parzialmente vicini al mio carattere”. Francesco Munzi, il regista che l'ha scelta per un ruolo ambiguo ne Il resto della notte, l'ha voluta per come l'ha conosciuta sullo schermo, perfetta per interpretare la freddezza, sfiorata da una certa “volgarità”, della madre della complicata famiglia descritta nella pellicola presentata con successo a Cannes lo scorso maggio.
A conclusione del festival, si è svolto un evento importante in un nuovo spazio recuperato dall'amministrazione della Maddalena: il Forte I Colmi, completamente restaurato, ampio (può ospitare mille spettatori), e suggestivo dove si è allestito il nuovo spettacolo di Paolo Rossi, "Sulla strada ancora" Ciò che sul palco è riuscito a ricostruire il grande interprete lo si potrebbe veramente definire “il contenuto della valigia dell'attore”.
 
Paolo RossiIl monologo scritto da Rossi con la collaborazione di Stefano Benni, infatti, mette in scena, come ha detto lo stesso autore, per certi versi autobiograficamente, la gioia, ma anche la fatale drammaticità dell'arte dell'interprete: la fatica di organizzare uno spettacolo che non andrà in scena (in questo caso l'Ubu roi di Jarry), le tensioni, il ricorso all'alcool, ma anche l'autoironia, il punto di vista beffardo e feroce nei confronti della società, la malattia e la guarigione, la risata come metodo critico, la melanconia, il sudore e il sorriso. Una straordinaria prova interpretativa, che segna una tappa fondamentale nella carriera di Rossi. Qualcuno lo definisce ancora genericamente comico, per noi ha lo spessore di un fool shakespeariano di gioiosa e dolente vitalità.
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