"Il Bambino con il Pigiama a Righe" di Mark Herman /2
di Alessandro Matta

Generalmente quando si tratta una tematica come quella della Shoah viene da porsi una domanda: può una tematica come questa essere portata sullo schermo ed essere cinematograficamente trasposta in un film, visto anche da un pubblico composto da bambini? Come raccontare il delitto della Shoah a un bambino attraverso il film?
Elie Diesel, testimone della Shoah, ha scritto: rappresentare la Shoah in una qualunque forma artistica ( cinema compreso) è impossibile, in quanto ciò che ne uscirà sarà comunque una rappresentazione effimera della realtà dello sterminio non conforme a ciò che accadde. Il problema si traduce alla millesima potenza se la tematica viene trasposta in un film drammatico riservato a un pubblico maggiorenne (es: “Schindler s List” ), e ancor di più in una pellicola riservata a un pubblico composto da bambini. Come rappresentare la Shoah ai più piccoli ? I bambini, come scrisse Primo Levi in “Se questo è un uomo”, a Auschwitz erano solo “uccelli di passo” verso lo sterminio con il gas? Nella Shoah morirono oltre un milione e mezzo di bambini e giovani sotto i 18 anni, con la sola terrificante motivazione che , come i verbali della conferenza di Wansee del gennaio 1942 ( nella quale fu deciso lo sterminio degli ebrei), “ se questi bambini rimanessero in vita, costituirebbero un pericoloso germe per la ridiffusione della razza ebraica nel mondo”. E’ inutile non sottolineare che le vittime più piccole hanno avuto una macabra centralità nello sterminio, ed erano considerati da eliminare prima ancora dei loro stessi genitori.
I bambini nella Shoah nel campo cinematografico assumono una veste particolare, fatta di diversi titoli che in questi anni hanno cercato, non sempre con molta efficacia, di far vedere allo spettatore la Shoah con gli occhi innocenti dell’ infanzia. Primo film di questo genere è italiano. Si tratta di “ANDREMO IN CITTA'” di Nelo Risi del 1966 , tratto da un omonimo romanzo di Edith Bruck, scrittrice ebrea ungherese superstite di Auschwitz e moglie del regista, che collaborò alla stesura della sceneggiatura del film. La storia del film è delle piu' struggenti: Lenka (interpretata da una Geraldine Chaplin nel fiore della gioventù) è una ragazza ebrea che vive in Jugoslavia, nel 1942, con il fratellino cieco Miscia. Quando, dopo diverse peripezie, i due saranno deportati. Nel treno per Auschwitz , Lenka racconterà al fratellino, non vedente, una bugia, facendogli credere che sono in un incredibile viaggio verso la lontana capitale, dove Miscia si sottoporrà a un’operazione agli occhi e tornerà a vedere ogni cosa del meraviglioso mondo che li circonda. Da antologia, la scena finale, dove Lenka racconta al fratello il paesaggio, ovviamente immaginario, pacifico, dove tutto è allegro.
I bambini nella Shoah nel campo cinematografico assumono una veste particolare, fatta di diversi titoli che in questi anni hanno cercato, non sempre con molta efficacia, di far vedere allo spettatore la Shoah con gli occhi innocenti dell’ infanzia. Primo film di questo genere è italiano. Si tratta di “ANDREMO IN CITTA'” di Nelo Risi del 1966 , tratto da un omonimo romanzo di Edith Bruck, scrittrice ebrea ungherese superstite di Auschwitz e moglie del regista, che collaborò alla stesura della sceneggiatura del film. La storia del film è delle piu' struggenti: Lenka (interpretata da una Geraldine Chaplin nel fiore della gioventù) è una ragazza ebrea che vive in Jugoslavia, nel 1942, con il fratellino cieco Miscia. Quando, dopo diverse peripezie, i due saranno deportati. Nel treno per Auschwitz , Lenka racconterà al fratellino, non vedente, una bugia, facendogli credere che sono in un incredibile viaggio verso la lontana capitale, dove Miscia si sottoporrà a un’operazione agli occhi e tornerà a vedere ogni cosa del meraviglioso mondo che li circonda. Da antologia, la scena finale, dove Lenka racconta al fratello il paesaggio, ovviamente immaginario, pacifico, dove tutto è allegro.


Il tutto è ripreso in tono schiettamente infantile (tutto ruota attorno ai giochi spensierati delle bambine coi figli dei contadini della zona) e talvolta in tono fiabesco (la splendida scena del tema scolastico sul sogno fatto da una delle bambine, che racconta di aver visto una figura sacra avvisare che “il cielo cade”, scena che da poi il titolo al film) fino al tragico finale, che lascia basito lo spettatore.
