"Avatar" di James Cameron

Sì, va bene. La storia è un sapiente mix tra "Second Life", "Balla coi Lupi" e "Pocahontas". Il tutto condito con robuste spruzzate di antimilitarismo, riconoscibilissimi riferimenti alle guerre per le risorse naturali ed ecologismo un tanto al chilo.
Sì, va bene. "Avatar" è una favoletta panteista che esalta la natura come una enorme rete interconnessa dove tutto è divino, in un certo modo simile a La sottile linea rossa, anche se ovviamente molto diversa dal capolavoro malickiano. Con in più una riflessione non banale sul superamento dei propri limiti corporei e i relativi dubbi etici.
Sì, va bene. Non siamo di fronte a "2001 Odissea nello spazio".
Sì, va bene. E allora? Who cares?

Dicevo, le quasi tre ore di film passano in un niente. Merito di un uso strabiliante della tecnologia che mi ha fatto dimenticare di trovarmi di fronte ad una pellicola fatta soprattutto al computer.

Ecco, forse Cameron è andato per la prima volta vicino al sogno stesso del Cinema: che è quello di dare l'illusione di essere davvero dentro la realtà, che questa illusione sia la vita. Da questo punto di vista siamo ad una svolta : qui non si tratta di John Goodman che usa trucchetti per elettrizzare le poltrone del suo cinema in "Matinee" di Joe Dante. Qui davvero, per la prima volta, ti sembra di essere dentro lo schermo. A tratti hai l'impressione di convolgimento totale con questo schermo. Hai davvero un senso di profondità, tanto che ti sembra di poter toccare con mano i sottotitoli e le "meduse volanti" (Michele Serra in versione Ghezzi-Guzzanti).

In un certo senso è anche un ritorno agli anni Cinquanta, quando le bizzarrie della preistoria 3D e le invenzioni di un William Castle tentavano di salvare il salvabile durante la grande fuga degli spettatori verso la televisione. Pensateci: oggi alcune serie tv si sono avvicinate enormemente all'esperienza cinematografica. A parte narrattivamente, dove ormai il sorpasso credo sia cosa fatta, anche tecnologicamente alcune serie sono sicuramente a livello cinematografico.

E pazienza se i professionisti dei distinguo a prescindere si arrabatteranno a dirci che è un'americanata, che si tratta della solita sceneggiatura stupida e infantile, che i personaggi sono tagliati con l'accetta. Bla bla bla. Va bene. E allora? Ragazzi: tornare bambini, ogni tanto? No? Guardate che fa bene. E provate a pensare che il vero protagonista di Avatar altro non è che lo spettatore. E Jake Sully è il suo avatar. L'avatar dello spettatore. Il nostro avatar.