Percorso

C’è troppo amore per la Cavani

Intervista alla regista protagonista a Cagliari di un incontro alla Cineteca. “C’è la necessità di raccontare storie importanti”. E il documentario che le ha dedicato Marcias? “Mi è piaciuto”. di Elisabetta Randaccio
 
Liliana CavaniPer la proiezione del documentario a lei dedicato –“Liliana Cavani una donna nel cinema” – durante le “Giornate degli autori” alla Mostra del Cinema di Venezia 2010, non era potuta intervenire, causa le riprese della sua ultima opera per la televisione (“Troppo amore” prodotto dalla “Ciao ragazzi” di Claudia Mori); invece, sabato 30 ottobre, nel salone della Cineteca Sarda, che non conteneva il pubblico, desideroso di omaggiarla, era presente, dolce e grintosa, disponibile a discutere e a mettersi in gioco. Liliana Cavani è una parte pulsante del cinema italiano contemporaneo e la sua mancanza di narcisismo la rende ancora più cara per chi ama la qualità nel grande schermo. Prima e subito dopo la proiezione di “Liliana Cavani una donna nel cinema” diretto da Peter Marcias, sceneggiato da Alessandro Macis e Patrizia Masala (animatori dell’“Associazione Alambicco” che ha prodotto con la “Janas” di Federico Demontis e lo stesso Marcias il film, montato da Davide Melis e musicato con grande sensibilità da Roberto Palmas e Romeo Scaccia, compositore di un toccante “lieder” dedicato all’attenzione mostrata dalla Cavani per la cultura germanica nella sua trilogia “tedesca”), la regista di Carpi ha risposto alle domande degli spettatori e dei giornalisti. La sua appassionata vitalità professionale, ci ha spinto a chiederle quale forza intellettuale la sostenga per avere desiderio di girare in un momento così doloroso per la cultura in Italia.

Peter Marcias“C’è la necessità ancora di raccontare storie importanti. Penso al mio lavoro sulla violenza sulle donne, appena concluso. E’ vero che il progetto doveva essere strutturato in maniera diversa. Erano, infatti, previsti sei episodi e ogni regista (io, Margarethe Von Trotta, Marco Pontecorvo) doveva realizzare una coppia di film sul tema. Ma due sceneggiature sono state ritenute “troppo forti” per il pubblico televisivo, per cui, alla fine, saranno girati solo quattro fiction. Nonostante questo, parlare di un argomento così attuale e interessante è fondamentale. Io mi sono occupata del problema dello <stalking>, reato assai diffuso, il quale, nel passato, non era considerato adeguatamente nella sua  gravità. Tuttora, molte donne non vanno a denunciare né alla polizia, né al pronto soccorso le angherie ossessive dei loro carnefici. E’ un fenomeno complesso, il quale andava affrontato con rigore anche con un film”.

''Galileo''Nel documentario a lei dedicato, si parla di vicissitudini censorie attraversate soprattutto nel periodo in cui lavorò in RAI (per via del reportage “La casa in Italia”, per “Galileo”.), non pensa quanto alcune dinamiche di controllo eccessivo siano ancora attuali?
“Il mio documentario «La casa in Italia» disturbava, allora, fortemente la classe politica al potere, quella democristiana. Quando, come ho detto anche nell’intervista filmata da Marcias, chiesi, certamente con ingenuità, di sentire l’opinione di un mafioso, quest’ultimo mi disse «Va bene, tanto questo materiale non andrà mai in onda» ed aveva ragione! Non fu mai trasmesso. D’altronde, nelle sue parole evidenziava la connessione criminosa, in quel momento storico, tra lo stato, la chiesa e le banche; come potevano i funzionari RAI accettare tale scomoda verità? Io, invece, ero convinta, che la tv avesse come obiettivo proprio di raccontare le storie rimosse. Lavoravo per il secondo canale, il quale, in quei tempi, era dedicato essenzialmente alla programmazione culturale e pensavo fosse un buon mezzo di diffusione informativa”.

Pier Paolo PasoliniNegli anni sessanta, quando lei ha esordito, era più semplice arrivare per un giovane regista all’opera prima?
“Veramente credo sia stato più facile realizzare un primo film negli ultimi venti anni, quando c’erano leggi e finanziamenti proprio per supportare gli esordienti, situazione oggi totalmente cancellata dai tagli al fondo dello spettacolo. Quando  ho iniziato, nessuno voleva gli allievi del Centro Sperimentale, frequentato anche da me. Una volta, capitò che un nostro compagno fu assunto come aiuto di Luigi Comencini e ci sembrò un avvenimento epocale. Se ci si pensa bene, per fare qualche esempio, Marco Bellocchio ha girato «I pugni in tasca» con i soldi di famiglia, Bernardo Bertolucci ha potuto realizzare il primo film, solo per l’interessamento di Pasolini, il quale era amico di famiglia e lo aveva voluto come aiuto regista per «Accattone»”.

Cesare ZavattiniIn «Liliana Cavani, una donna nel cinema» si vede una breve scena di uno dei cinegiornali liberi di Cesare Zavattini, e lei è presente con altri giovani registi dell’epoca. Cosa significava per lei la figura di questo grande sceneggiatore?
“Zavattini, per me, rappresentava la libertà di espressione assoluta. Non l’ho frequentato assiduamente, ma ogni tanto ci si vedeva nella sua casa, dove si discuteva animatamente e costruttivamente. Inoltre, è stato lo scrittore delle più belle opere del cinema italiano, quelle firmati con De Sica, capolavori assoluti”.
Nel documentario, Mickey Rourke le riserva un ricordo dolce, affettuoso e di grande stima.
“Mi ha fatto piacere vederlo e sentire le sue parole così toccanti. E’ un attore serio, ha studiato all’«Actor’s Studio», dove è stato pure insegnante di recitazione. Prima di girare «Francesco», è venuto una settimana a Roma e abbiamo chiacchierato tanto di noi, delle nostre vite, persino della nostra infanzia, per cui sul set era come se ci conoscessimo da sempre e questo ha aiutato molto la sua interpretazione. E’ un uomo generoso, falsamente appare come «un duro», è una persona tenera, di cui troppi hanno approfittato”.

''San Francesco'', Mickey RourkeSinceramente, le è piaciuto il film a lei dedicato?
“A parte il fatto che non sopporto di vedermi parlare sul grande schermo - ma questo è un problema esclusivamente mio -mi sembra un’operazione riuscita da parte di Peter e del suo gruppo.
Sono, infatti, riusciti a sintetizzare un’idea di cinema precisa, in maniera differente da altri documentari del genere. Anzi, credo, per certi versi, che la sua struttura originale sia una sorta di prototipo e potrebbe avere un seguito importante”.
 
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3 novembre 2010
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