La Sardegna e il "diritto al cinema"
A tu per tu con Antioco Floris, accademico e ideatore del Celcam. "Sono convinto che nella legge sul cinema ci siano delle cose del tutto valide. Qui da noi però c'è un terrore diffuso, una paura ad essere valutati". di Salvatore Pinna



Avisa - e più in generale l’ISRE - ha aperto nuove prospettive per i giovani sardi offrendo la possibilità di avvicinarsi al cinema in maniera serie e concreta. Dopo sono arrivate altre iniziative che hanno replicato il modello con successo. Bisogna però anche dire che prima ci sono state tante altre iniziative fallimentari, soldi e risorse persi nel nulla. Pensiamo al Premio Solinas, importantissimo a livello nazionale e incapace di seminare qualcosa nella nostra isola. Sulla Regione non c’è da essere entusiasti. Però vedo per la prima volta funzionari motivati anche se costretti a muoversi in un apparato mastodontico che, credo, impone fatiche di Sisifo…
L’elenco andrebbe aggiornato col Celcam che promuove il cinema in tutte le sue articolazioni: produzione, formazione e promozione.
L’esperienza del Celcam ha delle affinità con il modello Avisa, ma non con le altre. Il Celcam nasce per completare quella formazione di matrice essenzialmente teorica che si pratica all’università. Oggi, con l’avvento delle nuove tecnologie, lo studio del cinema non può essere lasciato solo alla visione dei film e allo studio dei libri, bisogna anche farlo. Ecco, il Celcam si occupa di formazione di base. Ci tengo a sottolineare questo aspetto: non è una scuola di cinema, al limite un luogo dove un giovane può cominciare a capire se oltre all’interesse e alla passione ha anche motivazione e doti da far crescere in altri contesti.

È chiaro che c’è l’esigenza di confrontarsi su quanto fatto, quindi far vedere i lavori a un pubblico terzo. L’incontro con il pubblico è quindi fondamentale. Va anche detto che non tutto ciò che si realizza esce poi dal laboratorio, perché anche se si cerca di mantenere un livello di base almeno dignitoso qualcosa non raggiunge i risultati minimi attesi.
Esistono molte iniziative del genere nelle università italiane?
Quasi tutte le università in cui si insegna cinema hanno dei piccoli laboratori o centri di produzione. Ci sono realtà ben più sviluppate di Cagliari e con ben altre risorse, come per esempio i Dams di Roma 3 o di Torino. Ma credo che noi non abbiamo niente da invidiare agli altri, se non, in alcuni casi, le risorse economiche e il numero di docenti.
Sinora il laboratorio ha dato vita a produzioni di buon livello e comunque interessanti. Non è poco in tempi di comunicazione audiovisiva inconsistente e velleitaria.
Il lavoro segue dei format di cui abbiamo constatato l’efficacia. Ci sono delle attività di base, dove si lavora seguendo un modello molto schematico e semplice e altre di approfondimento dove la realizzazione è più sofisticata. Nel primo caso abbiamo dei documentari con l’inserimento di qualche scena di fiction. Sono girati con macchina fissa e inquadrature elementari e la maggior parte del lavoro consiste in interviste su un tema definito. Nel secondo caso l’attività formativa è coordinata da un regista che mette molto di suo. L’obiettivo è vedere come lavora un professionista e confrontarsi con lui nella realizzazione di un lavoro.

Il Celcam in quanto tale è stato istituito formalmente nel 2007 grazie alla costituzione del nuovo corso di laurea in Scienze della comunicazione che ha creduto nel progetto e ha deciso di investire in strutture. Il laboratorio audiovisivi di cui prosegue l’attività è sorto nel 2003, assieme al circolo Notorius formato da miei studenti particolarmente appassionati di cinema. Quindi lavoriamo continuativamente da 8 anni. Ogni anno realizziamo dai due ai quattro corsi con altrettanti film, dunque finora abbiamo realizzato una ventina di cortometraggi. A fianco ci sono delle coproduzioni, cioè lavori fatti da nostri migliori allievi in situazioni esterne e che noi sosteniamo mettendo a disposizione la strumentazione e il knowhow perché per loro è una grande occasione di crescita. Ma ci sono anche i “progetti speciali”, come il documentario sul canto funebre in Corsica del 2006 ("Libera me Domine"), o il progetto di educazione al cinema nelle scuole della periferia cagliaritana che ha dato vita a "Tajabone" di Salvatore Mereu e "Asse mediano" di Michele Mossa.

In un primo momento facevamo solo attività di base curate principalmente da Valentina Manconi, poi gli allievi hanno manifestato l’esigenza di approfondire e così abbiamo cercato competenze diverse da quelle già presenti, abbiamo lavorato con Ferdinando Vicentini Orgnani, Heidrun Schleef, Marco Gallus, Salvatore Mereu, Francesco Origo ecc. Nel frattempo i più motivati fra quelli che hanno fatto i corsi sono cresciuti e alcuni di loro dopo la laurea sono andati fuori per frequentare scuole di cinema (molto gettonata quella di Barcellona dove studiano fra gli altri Simone Porcu e Chiara Sulis, ma c’è anche la Scuola civica di cinema di Milano dove Marco Piga ha frequentato i corsi di montaggio, e l’Università di Warwick dove fa il dottorato Ivan Girina) altri, pur restando in città sono diventati dei professionisti. Cito per tutti Andrea Lotta che è un bravo montatore, ma anche regista di documentari, operatore di ripresa, ottimo assistente alla regia (ha lavorato con Pau, Mereu, Pitzianti).

Lavoriamo con pochissimo danaro; abbiamo la fortuna di avere strumentazione di buon livello e dei collaboratori molto motivati che lavorano per poche lire se non gratis. Alcuni sono collaboratori abituali, come Enrico Pau, Andrea Lotta (l’operatore e il montatore di pressoché tutti i film), Giovanni Marceddu (formatore e, da polistrumentista, autore delle musiche), Ivan Girina, altri hanno iniziato da poco, come Corrado Serri, che si è laureato con noi a Cagliari e adesso fa il direttore della fotografia a Roma. Io non percepisco nessun compenso ed è un impegno che va oltre il normale carico di lavoro. Ma ci sono anche impiegati, come Filippo Spanu, il direttore amministrativo della Facoltà di Scienze della formazione, che ci dà un aiuto fondamentale. Per il resto le risorse economiche arrivano dal circolo del cinema Notorius che riceve i contributi dall’ERSU di Cagliari, dalle simboliche quote di iscrizione e da qualche contributo ora dell’università ora della Regione.
Il primo anno di attivazione della legge regionale avete ricevuto un contributo.
Abbiamo avuto 27.000 euro e abbiamo messo in formazione, a diversi livelli, circa 200 persone. Poi la Regione, probabilmente spinta da chi sosteneva che i soldi spesi per queste attività, così come per la ricerca, sono soldi tolti alla produzione e quindi sprecati (i nomi di queste persone, anche importanti registi), ha deciso di cassare questi finanziamenti. Non siamo abituati a piangerci addosso e continuiamo a lavorare. Certo che se ci fosse qualche soldo in più si potrebbe lavorare in maniera più rilassata e incisiva, ma in tutti i casi non ci interessa diventare una scuola di cinema. Non credo alle scuola di cinema di periferia dove registi alle prime armi o con professionalità non consolidata insegnano ciò che ancora loro stessi devono imparare. Credo che le professioni creative abbiano bisogno di scuole importanti, e queste ci sono in giro per il mondo, bisogna solo dare borse di studio per frequentarle.

Il documentario Libera me domine, che ho fatto con Ignazio Macchiarella, è nato dalla richiesta di un’associazione corsa che ci ha proposto di produrre il film. Era un’occasione per mettere alla prova un gruppo di studenti e così abbiamo accettato. All’interno del gruppo ero quello con più competenze e quindi è capitato che facessi il regista. Il documentario che sto girando in questi giorni è realizzato nell’ambito di un progetto europeo dedicato alle forme di poesia improvvisata. È un gioco interessante ma non tanto entusiasmante da sentire il bisogno di farlo ad ogni costo. Più che altro è la curiosità di vedere quanto sono in grado di applicare i modelli che propongo ad altri e che uso come criteri di lettura dei film. Non sono di quelli che appena fanno uno o due filmetti si presentano in pubblico con l’etichetta di registi. È una moda molto diffusa in Sardegna. Ho sempre apprezzato Piero Sanna che quando presentava al pubblico La destinazione di sé diceva di essere un carabiniere e non un regista, se non proprio occasionalmente.
In Sardegna sembra che esista una sorta di “diritto di cinema” dovuto al solo fatto di essere sardi. Nessuno si domanda se ha diritto al finanziamento perché è bravo a farlo il cinema.
Io credo che tutti debbano avere la possibilità di esprimersi con la macchina da presa, ma non necessariamente bisogna garantire a tutti finanziamenti pubblici, pagine sui giornali, platee di pubblico. Una delle cose più difficili da far accettare nella legge regionale sul cinema è stata la commissione di valutazione dei progetti da finanziare. C’era un terrore diffuso, una paura di essere valutati, condivisi anche da alcuni professionisti. Io sono convinto che di quella legge sia una delle poche cose del tutto valide, come principio intendo, non come è configurato il funzionamento.

Un investimento in formazione professionalizzante andrebbe supportato da analisi di mercato, da analisi dei processi formativi, da prospettive di investimento ecc. In questo momento sto lavorando ad un progetto di ricerca nazionale con diverse università dove studiamo le modalità con cui avviene il ricambio dei quadri del cinema italiano e quali sono le modalità formative. Il progetto è sostenuto anche dalla Regione Sardegna. Dalle prime riflessioni emerge che le professioni creative sono le più gettonate ma anche quelle che hanno meno possibilità di affermarsi sul mercato, a differenza di quelle tecniche di cui c’è molta richiesta e poca offerta. Questo tipo di approccio va ben oltre le professioni e tocca anche altri aspetti.
Per esempio quello della film commission visto da alcuni come panacea di tutti i problemi. Il fatto è che tutto quanto in Sardegna ruota intorno al cinema a livello istituzionale è privo di una politica culturale, non c’è un disegno dietro. Ci sono spinte lobbistiche centrifughe che non permettono uno sguardo di insieme. Così non si andrà lontano. E invece la nostra realtà cinematografica è ricca e vitale, e capace di raggiungere anche livelli alti che potrebbero consolidarsi se ci fosse un approccio maturo e moderno da parte di tutti.
Articoli correlati: La "cinemite" degli assessori e la triste storia di Contu
2 marzo 2011