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Percorso

"Boris. Il film" di L. Vendruscolo, M. Torre, G. Ciarrapico

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''Boris il film'' locandinaIl soggetto di “Boris. Il film” di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo nasce da una serie di culto televisiva (andata in onda, nella maggior parte degli episodi, sulla piattaforma “Sky”) di produzione italiana, la quale ha ottenuto un successo sorprendente per gli standard del nostro paese. Originale nei temi, lontani dai stantii serial su carabinieri, polizie, preti, santi e via dicendo, “Boris” basava la sua forza su un’impostazione meta-televisiva, cioè raccontava gli squallori in modo ora ironico, ora comico, ora amaro, di chi è costretto a realizzare programmi per il piccolo schermo di tipo trash, in un contesto umano sociale degradato, specchio della mutazione antropologica in corso, da tempo, in Italia. L’ambizione di riuscire a rimodellare questo format televisivo al cinema era rischiosa, soprattutto perché solo gli iniziati avrebbero potuto capire adeguatamente sia i vari personaggi ruotanti in questa giostra scalcagnata di presunti attori, registi e tecnici, quanto le allusioni riferite ad alcuni episodi particolari, prima in assoluto il pesciolino rosso Boris, di cui lo spettatore si accorge a storia, ormai, avviata.

''Boris il film''Nel meta cinematografico, gli italiani vantano la creazione del punto di riferimento assoluto, quell’ “8 e ½” di Federico Fellini, che ha segnato una delle svolte maggiormente importanti della storia del cinema moderno, riciclato, copiato, citato in miriadi di opere d’arte visive e di altro genere. A Hollywood, poi, esiste una tradizione di riflessione sul media cinema, sin dalle sue origini, con risultati spesso esilaranti o drammatici. Diciamo che “Boris. Il film” si fissa nel limite tra un film piacevole e, in certi casi, con qualche battuta epocale (la scimmietta indicata come uno dei pezzi grossi di “Medusa”, la spiegazione di come si sceneggia un cinepanettone, l’affermazione “la televisione è come la mafia: sai quando entri, ma non quando ne uscirai.” …) e un altro impacciato da autoreferenzialità, da un cast che non decolla e, persino, da qualche momento di noia.
 
''Boris il film''Forse, perché i backstage, il “dietro le quinte”  che in televisione non siamo abituati a vedere mostrati nei loro reali problemi, spesso caratterizzati da tinte surreali, nel cinema sono stati declinati in variazioni di ogni tipo (con buona pace delle riflessioni della vero e falso in palcoscenico insegnatoci da Pirandello).
Certamente i tre registi hanno ben chiaro il messaggio da inviare al pubblico: il mondo dei media popolari è diventato non solo specchio, ma modello assoluto per l’Italia dei nostri tempi. La volgarità, l’ignoranza, il cinismo, il resettare qualsiasi valore costruttivo, trionfano tra gli squinternati personaggi della troupe del regista Renee Ferzetti (Francesco Pannofino, voce storica, in Italia, di George Clooney), come nelle nostre istituzioni a vari livelli. La società dello spettacolo, nel suo trionfo, ha intrapreso strade ancora più estreme e la realtà sicuramente ha superato ogni fantasia, pure la più bieca. Dunque “Boris” è in perfetta consonanza con i dibattiti sui nuovi costumi italiani, ma non riesce, in sostanza, a volare alto. Da segnalare una colonna sonora assai divertente, ricca di citazioni, con la canzone sui titoli di coda di Elio e Le Storie Tese, che riprende, come un piccolo, ma efficace sunto, le battute chiave del film.
 
Vai all'approfondimento di "Boris. Il film" di Clara Spada
Consiglio precedente: "Non lasciarmi" di Mark Romanek
6 aprile 2011
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