"Un delitto impossibile" di Antonello Grimaldi

Conversazione con il regista Antonello Grimaldi
Io sono nato a Sassari, città alla quale sono molto legato e quando uscì il libro pensai che fosse una buona occasione. In realtà la città rappresentata nel film potrebbe essere una qualsiasi, ma mantiene la specificità sarda nella lentezza della storia, nella lentezza della scoperta del colpevole e della risoluzione dell’enigma; e questo è un aspetto anomalo per un giallo dove il succedersi dei fatti è di solito più veloce; inoltre esso si mostra particolare anche perché l’omicida muore prima della vittima.

La mia intenzione era proprio quella di mostrare che anche in Sardegna ci sono le città con il traffico, anche se immerse in un’atmosfera un po’ sospesa legata alla Sardegna millenaria, fatto che provoca un distacco con il resto d’Italia.
La scelta del linguaggio ha investito gran parte delle decisioni riguardanti la fotografia: insieme al direttore della fotografia abbiamo trattato Sassari come se fosse il Messico o la Georgia, come insomma uno di quei posti dove fa sempre tanto caldo; così abbiamo deciso un modulo: siccome fa tanto caldo, le finestre sono sempre chiuse e la luce utilizzata è quella artificiale che ci permette di dare corpo alla storia che si presenta ricca di tormenti, creando un cono di luce sugli attori e intorno un’ombra, quasi a identificare l’ambiguità in cui si muovono i personaggi della storia, cui rappresentante principale è proprio la vittima che si presenta come un personaggio amato e odiato e con dei traffici loschi da nascondere.

I cinque protagonisti sono attori non sardi, mentre gli altri sono quasi tutti sardi e alcuni di essi attori non professionisti, come per esempio il medico che fa l’autopsia della vittima, che è un operatore della Rai di Sassari o il venditore di bottarga, che nella vita vende realmente la bottarga!
Lo scrittore è stato contattato per un confronto al momento della stesura della sceneggiatura e dopo aver dato molte indicazioni, mi ha detto di procedere come preferivo, nella consapevolezza che il cinema è diverso dalla letteratura; l’unica cosa su cui ha insistito è stato il nome della vittima, ha voluto che si chiamasse Piero come nel libro. Alla fine è stato molto contento del film.
Il film è molto aderente al libro, gli unici cambiamenti che abbiamo apportato sono dati da esigenze cinematografiche: nella trasposizione si perde il confronto tra Moro prigioniero delle BR e il magistrato prigioniero della Sardegna, poiché riportare la storia agli anni Sessanta avrebbe significato un dispendio di tempo e denaro troppo grande; questo confronto è ripreso in parte con la descrizione della guerra in Bosnia accennato dalla cameriera di Piero che abbiamo voluto che fosse slava proprio per questo.
