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Review - F. Primo

Joe D’Amato: il cinema che non c’è più

 
Joe D'AmatoE’ da tempo che andavo rincorrendo l’idea di un omaggio al nostro più prolifico artigiano della celluloide: Aristide Massaccesi in arte Joe D’Amato (1936-1999). Non sono un suo estimatore tout court, anche perché Massacesi nella sua carriera (200 film come regista e altrettanti come direttore della fotografia, produttore, montatore e sceneggiatore), pellicole brutte ne ha girato e di questo credo, anzi ne sono sicuro, fosse pienamente cosciente (quando parlava di alcune sue opere diceva “filmetti”). Già all’età di 15 anni aiutava il padre di Mario Bava a creare i titoli di testa dei film e pur di stare sui set fa di tutto e lavora anche come direttore della fotografia -la sua più grande passione- ne “La carrozza d’oro” di Jean Renoir e ne “Il disprezzo” di Jean Luc Godard. Avendo accumulato una discreta competenza tecnica, decise di passare alla regia, anche se inizialmente preferì non firmarsi con il suo vero nome per non bruciare velocemente la sua carriera di regista e per commercializzare meglio i film anche all’estero. Se “Joe D’Amato” è il nome con il quale è maggiormente conosciuto in tutto il mondo, il nostro regista romano sceglieva di volta in volta uno pseudonimo che lo intrigasse ma soprattutto che si avvicinasse al genere che affrontava (lo stesso Sergio Leone si firmava Bob Robertson agli esordi dello “spaghetti western”).

I film di Joe D'AmatoLa parola “genere”  è quella che ritorna più spesso quando si parla di questo “Roger Corman italiano” perché con estrema naturalezza D’Amato ha attraversato, contaminandoli vicendevolmente, i più  disparati generi cinematografici: Il western (“Scansati…a Trinità arriva Eldorado”; “Giubbe rosse”); La Commedia boccaccesca meglio nota come “decamerotico”, un genere nato sulla scia della ”trilogia della vita” di Pierpaolo Pasolini (“Decameron”, “ I racconti di Canterbury”, “Il fiore delle Mille e una notte”) con pellicole dai titoli amicanti: “Sollazzevoli storie di mogli gaudenti e mariti penitenti”, “Novelle licenziose di vergini vogliose”; i film di guerra come “Eroi all'inferno”, e per non farsi mancare niente, anche il peplum con “La rivolta delle gladiatrici”, prodotto da Roger Corman; l’horror, a volte splatter, a volte alla maniera “argentiana” che andava tanto di moda in quel periodo: “La morte ha sorriso all’assassino” con la presenza delirante di Klaus Kinsk; “Buio omega” e “Antropophagus”, grazie ai quali il nostro cinema di genere sarà apprezzato in tutto il resto del mondo anche per alcune scene tutt’oggi molto forti, come  quella in cui il “mostro” strappa il feto, per poi divorarlo,  dalla pancia di una giovane e irriconoscibile Serena Grandi.
I film di Joe D'AmatoDall’horror si passa al periodo dell’erotico soft con "Emanuelle e Francoise le sorelline”, ma fu l’incontro con la splendida attrice indonesiana Laura Gemser -sua attrice feticcio- a “generare” la sua più famosa serie di pellicole erotiche della “Emanuelle Nera”(con una sola emme per evitare accuse di plagio) che sfruttavano il successo del libro “Emmanuelle” della Arsan e degli omonimi film francesi con Silvia Kristel. Alcuni di questi film, come si usava allora, erano girati in due versioni, una per il mercato Italiano e un‘altra, con inserti hard, per alcuni mercati esteri più permissivi. Quando il porno soft si fonde con l’horror Massaccesi, da gran maestro della “contaminatio generis”, dà il meglio di se confezionando “Porno holocaust” e “Le notti erotiche dei morti viventi” che regalano allo spettatore una delle più surreali e bizzarre serie hard. La carriera di Joe D’Amato termina quasi esclusivamente nell’hard core.
I film di Joe D'AmatoNon fece mai mistero del fatto che quest’ultima scelta di genere, era una “questione alimentare” e basta; quei soldi (tanti) che il cinema hard gli faceva incassare, servivano per mangiare e per diventare produttore di se stesso con pellicole di maggior spessore. «L’hard è la completa distruzione dell’erotismo» soleva spesso dire e quei film, infatti, li girava con la mano sinistra ma sempre con grande attenzione per la fotografia, la scenografia e una sceneggiatura dignitosa (i suoi marchi d’autore nel panorama hard mondiale) che spesso parodiava personaggi famosi come Marco Polo, Tarzan, Caligola, Robin Hood. Qualcuno storcerà il naso, ma la mia ammirazione per quest'uomo dai molti nomi, è tanta, per lo meno nei confronti del suo eclettismo e del suo essere artigiano sapiente (grande maestro della macchina a mano inventò prototipi di steadycam) che lavorando in ristrettezze economiche, e con pochi i mezzi a disposizione (…«con due lampadine, ti trasformava un corridoio spoglio nella hall di un albergo di lusso» ebbe a dire un suo amico) creava pellicole competitive a livello internazionale.
I film di Joe D'AmatoNon aveva pretese intellettuali ed era troppo modesto per pretendere di essere un autore. Quanti sono oggi invece i piccoli registi alle prime armi che si fregiano di tale titolo?! A lui interessava fare cinema sempre e in ogni caso anche con pochi soldi. Si divertiva a scandalizzare e shockare lo spettatore esplorando campi sconosciuti per il cinema italiano del periodo quando ancora tutto doveva essere mostrato a un pubblico ancora “vergine” e il cinematografo attraversava un momento di “anarchia positiva”. Quando morì nell’indifferenza dei media (come il povero Lucio Fulci anni prima), chi lo aveva conosciuto rimpiangeva il suo divertimento nel girare e il suo modo giocoso di intendere il cinema. Come non pensare ad Ed Wood?? che con passione e l’ingenuità di un bambino impugnava la sua macchina da presa dando sfogo alla sua “follia” che nel cinema non guasta mai.

Citazione della settimana: "Tutti i film sono fatti per guadagnare soldi, anche quelli di Fellini o di Bergman. Il cosiddetto cinema d'autore non esisterebbe se non ci fosse un piccolo segmento di pubblico disposto a pagare per andarlo a vedere". (Samuel L. Broncowitz)

Qua un divertente scorcio di un’intervista a Joe D’Amato
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