Percorso

Review - F. Primo

"M il mostro di Düsseldorf"

 
Norman Bates (“Psycho”), Michael Myers (“Halloween”), Jason Voorhees (“Venerdi 13"), Freddy Krueger  (“Nightmare”), Hannibal Lecter (“Il silenzio degli innocenti”), John Doe (“Seven”), Henry Lee Lucas (“Henry pioggia di sangue”), George Harvey (“Amabili resti”) sono tutti i figli del primo, indimenticabile serial killer che la storia del cinema ricordi: Hans Beckert ovvero il "Mostro di Düsseldorf " ritratto con assoluta maestria dal regista austriaco Fritz Lang nel fllm-capolavoro “M, il mostro di Düsseldorf” (M - Eine Stadt sucht einen Mörder; 1931).
La storia è ispirata ai delitti realmente commessi da Peter Kürten, detto il "Vampiro di Düsseldorf”, che negli anni venti violentava le proprie vittime, uccidendole e bevendone il sangue.

La città  di Düsseldorf è terrorizzata da un "mostro" che continua ad uccidere delle bambine, mentre la polizia brancola nel buio e la paura e il sospetto montano su tutta la popolazione. La malavita locale, vessata dagli assidui controlli della polizia, decide di dare la caccia al mostro e organizza una rete di vigilanza composta dai mendicanti e dai ladri dislocati in maniera scientifica su tutto il territorio.
 
Un primo indizio viene a galla: l’assassino quando adesca le sue piccole vittime, fischietta un motivo (“eseguito” dallo stesso F.Lang e tratto dal Peer Gynt di E. Grieg). Un mendicante cieco, grazie a questo motivetto riuscirà a individuare il mostro e a far “incidere” con il gesso una “M” (Morder, assassino) sul suo cappotto.
Inizia il pedinamento e infine la cattura da parte dei malavitosi che conducono il maniaco in un sotterraneo. Qua viene allestito una sorta  tribunale con il relativo processo da parte di tutti i criminali della città. Nonostante “l’imputato” cerchi di discolparsi con uno struggente monologo (grande interpretazione teatrale di Peter Lorre!) in cui spiega il dolore per non poter controllare gli istinti omicidi che lo assalgono, viene emessa una condanna a morte. L’arrivo della polizia, che parallelamente proseguiva le indagini, consegnerà il mostro alla giustizia “ufficiale”.

Un film  sul quale si è detto tanto e forse tutto ma che merita sempre il dovuto rispetto anche perché nonostante i suoi quasi ottant’anni non mostra i segni del tempo e anzi, ha molto da insegnare alle pellicole prodotte oggi, soprattutto a quelle che vogliono parlarci di un assassino vittima delle sue pulsioni. Ma nonostante il film ruoti attorno all’assassino, Lang lascia gran parte del “palco cinematografico” all’intera città in preda al panico che diventa terreno fertile per lo scatenarsi di paranoie e istinti "populisti-giustizialistici che non ammettono attenuanti psicologiche o sociologiche. Ed ecco un tema ricorrente in Lang: l’opposizione tra giustizia privata e giustizia ufficiale. Il monologo del mostro che si difende dalle accuse del grottesco e paradossale tribunale dei fuorilegge che applica la legge, ci offre tanti spunti di analisi ma soprattutto ci fa intravedere come la rappresentazione che Lang ha della realtà si richiama al concetto di “colpevolezza relativa”. Non esiste una divisione netta fra bene e male perché il “mostro “stesso è anche vittima e può essere uno di noi, una persona cosiddetta “normale”.
 
Si veda a questo proposito la bellissima sequenza in cui, mentre il giornale radio traccia il profilo psicologico dell’assassino di bambine, il mostro stesso si guarda allo specchio  cercando di rintracciare sul suo viso quei tratti criminali con cui  viene descritto; lo specchio però mostra allo spettatore un piccolo uomo dall’aspetto innocuo, con un viso paffuto e degli occhi grandi e spauriti; insomma, una persona normale.

Da un punto di vista prettamente tecnico bisogna ricordare che “M” è stato  il primo film sonoro di Lang che ha dato prova di saper mescolare le tecniche espressive del cinema muto (le inquadrature della palla che rotola, il palloncino trasportato dal vento e la tromba delle scale deserta a significare la morte della bambina) e il sonoro (il motivetto fischiettato dall’assassino diventa un elemento che aumenta la tensione del pubblico in quanto annuncia la presenza del mostro e l’imminenza di un assassinio).
 
Senza timore di essere smentiti si può affermare che dieci anni dopo Orson Welles ha fatto tesoro dello stile registico “langhiano” nella fattispecie l’uso della macchina da presa (piani sequenza e soggettive) e una fotografia molto evocativa che gioca con le ombre -ricordiamo che siamo in pieno periodo espressionista- non solo in funzione decorativa ma espressiva (l’ombra come proiezione del lato oscuro dell’uomo)
Dopo questa lettura credo che anche il lettore più distratto possa intuire i motivi che hanno portato il nazismo ad osteggiare questo film insieme ad altre opere di Lang -"Il testamento del dottor Mabuse" su tutte- Per i più “pigri” forse servirebbe sapere quale avrebbe dovuto essere inizialmente il titolo di M - Il mostro di Düsseldorf: “Gli assassini sono tra di noi”…

Qua la sequenza iniziale del film


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