Percorso

Ebraismo - A. Matta

“Ritorno a Berlino” di Thomas Brasch


''Ritorno a Berlino'' locandinaAll'età di 85 anni è morto la scorsa settimana l’attore Bernard Schwartz  in arte: Tony Curtis .  L’attore era originario di una modesta famiglia  ebrea di origini ungheresi vivente a New York , divenne celeberrimo grazie soprattutto a quell’aria da playboy dai mille volti propria di divi degli anni ’40 come Paul Newman. A renderlo di successo nel 1959, fu l’interpretazione nel film “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder. 
Voglio ricordarlo in  uno dei suoi più recenti e misconosciuti ultimi film: “Ritorno a Berlino” , di Thomas Brasch  del 1988 . La pellicola, fortemente autobiografica proprio verso Curtis, che tuttavia ne è solo l’attore di punt , appartiene   a una ultima fase della carriera dell’attore, nella quale per la prima volta venne fuori un personaggio ebreo che mai fino ad allora era,  si può dir, “fuori uscito” dalle interpretazioni del divo. 
Una fase costellata di interpretazioni riconducibili al mondo  ebraico tornata anche in lavori minori di Curtis come “Big Boss” di Menachem Golan. Nel caso della pellicola di Brasch, però,  Curtis si ritrovò a fronteggiare l’ ardua e complessa tematica della Memoria della Shoah nella Germania degli anni ’80, accompagnata da un ideale di cinema  come “terapia di autoanalisi psichiatrica” e di riconoscimento degli errori nel proprio passato. 
Il film racconta di quando nel 1987 a Berlino arriva un vecchio regista americano per girare un film ispirato a un episodio realmente accaduto nella Germania nazista  quando un regista tedesco doveva girare un film antisemita, basato sulla storia di un malvagio e vecchio usuraio ebreo e di un povero contadino tedesco, costretto a dargli in moglie la sua giovane figlia, la quale, dopo aver accettato le nozze per salvare il padre, si impiccava. Per questo film erano state allora scelte 13 comparse fra gli ebrei di un campo di concentramento, promettendo falsamente loro come compenso l'emigrazione fuori dalla Germania nazista.
 
''Ritorno a Berlino''Cornfield  il regista del film interpretato da Curtis, dirige le riprese con uno spirito quasi pionieristico, teso a fare costi quel che costi la pellicola e con una volontà maniacale di ricreare il passato proprio in una Germania di  fine anni ’80 che, a cavallo tra riunificazione e voglia di guardare al futuro, vuole dimenticare, anni, quasi cancellare quel passato scomodo. Non è un caso che nel film la  troupe di Cornfield, composta di giovani tedeschi, non comprende né il motivo per cui l'americano voglia fare un film su questa lontana storia, né perchè il regista sia sempre così Ostinato, in collera, e teso in tutto e per tutto alla memoria anche davanti a tanti tedeschi che dicono “Lasciateci in pace”. 
Ma proprio quella volontà di ricreare il passato, di ricordarlo , rischia di essere un peso insostenibile. Rischia di non essere la cura per ricordare e far ciò che quanto accaduto non si ripeta, ma per il povero Cornfield/Curtis, questo film diverrà lo strumento attraverso cui egli resterà schiacciato dal peso della shoah e di una tragedia che capirà in fondo solo   quando, all’improvviso, nel bel mezzo delle riprese delle scene finali del film - tese a documentare come uno degli ebrei comparse nel film Nazista, afferrata qualche allusione del regista al fatto che i nazisti non li avrebbero mai salvati  e comprendendo l'inganno, aveva deciso di tentare la fuga dal teatro di posa, insieme a  un suo  amico di sventura, senza riuscirvi – ricomparirà  la truccatrice del set di allora, ancora in vita, che mostra invece alla troupe e alle comparse come la storia sia andata differentemente. Il tentativo di fuga era infatti stato messo   in atto,  ma l'altro prigioniero, preso dal panico, rimase inchiodato dove era , e così il primo fu scoperto ed ucciso. 
 
''Ritorno a Berlino''Ma chi era il secondo prigioniero? Niente altri che Cornfield, il regista del film , che quindi gira un film che non è un film-verità , ma in realtà un film fasullo per lavare le proprie responsabilità nel mancato piano di fuga e nella morte del suo amico.  Cornfield  si  salvò  per una sua vigliaccheria o forse per una sua paura,  l’amico invece morì  e la truccatrice del set di allora, che aveva aiutato inizialmente i due nella fuga travestendoli, fu  punita e per tutta la vita rimase  con la schiena spezzata.   E’ solo qui che Cornfield vedrà il peso del suo passato rifiorire come un macigno nella realtà delle sue responsabilità, e non nel modo edulcorato e falso con cui tentava di ridipingere tutto nel suo “finto” film. 
E come allora restò inchiodato per vigliaccheria provocando la morte di una persona e il ferimento a vita di un'altra  ora resta inchiodato nell’aeroporto di Berlino, senza neppure il coraggio di ritornare nel suo paese senza il film compiuto , inchiodato dal peso dei ricordi di un passato che mai si potrà cancellare. 
6 ottobre 2010  
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